11/04/2025, 11.12
IRAQ - IRAN
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Baghdad disarma le milizie filo-iraniane per evitare la guerra con Usa (e Israele)

di Dario Salvi

Ad AsiaNews lo studioso giordano Al Sabaileh definisce “probabili” le voci di una cessione delle armi da parte di diversi gruppi sciiti attivi in Iraq. Decisiva la pressione degli Stati Uniti e il timore dell’apertura di un ultimo fronte dopo Siria, Libano e Yemen. Ma con la fine della lotta armata “anche il loro peso politico non sarà più lo stesso” in vista delle elezioni di ottobre. 

Milano (AsiaNews) - Vi sono “valide probabilità” che le notizie circolate in questi giorni, secondo cui diverse milizie e gruppi combattenti filo-iraniani in Iraq intendono cedere le armi, siano concrete perché quello iracheno “è l’ultimo fronte rimasto” al momento inviolato. È quanto sottolinea ad AsiaNews il professore e analista geopolitico giordano Amer Al Sabaileh, esperto di questioni mediorientali, sicurezza internazionale e policy dei processi di pace nelle aree di crisi, collaboratore di diverse testate internazionali fra cui The Jordan Times. L’Iraq, spiega, rappresenta “un fronte molto importante” di influenza per l’Iran, se non “l’unico rimasto, dato che gli israeliani hanno lavorato in questo ultimo anno e mezzo per allentare ‘l’accerchiamento’ colpendo in diverse aree: Da Gaza alla Cisgiordania, dal Libano alla Siria”, con il contributo degli Stati Uniti “oggi in guerra contro gli Houthi nello Yemen”.  

Nell’ottica di alimentare la pressione sulla Repubblica islamica, e in attesa dei colloqui in programma domani in Oman fra delegazioni di alto livello di Washington e Teheran per discutere del nucleare iraniano, resta aperto un ultimo fronte, quello iracheno. “Non si può nascondere - sottolinea Al Sabaileh - che il rapporto fra l’Iran e le milizie dell’Unità popolare sciita in Iraq sia molto simile a quello con altri gruppi combattenti come gli Hezbollah in Libano. Sono un braccio operativo per Teheran - prosegue - ed è normale che l’Iran abbia pensato in passato di armare questo fronte alla luce sia delle prospettive di dialogo, sia in previsione di un attacco statunitense e israeliano sul proprio territorio”.  

Tuttavia, nel tentativo di allentare la tensione - e in risposta alle molte avvisaglie fatte filtrare dai funzionari statunitensi al governo iracheno dall’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump - sembra sempre più plausibile la prospettiva di un “disarmo” di molte di queste milizie. Un passo per certi versi storico, perché è la prima volta che si apre la prospettiva di una fine della lotta armata in un quadro di crescenti tensioni nella regione mediorientale che potrebbero trascinare anche Baghdad in uno scenario di guerra. Gli emissari di Washington hanno infatti avvertito gli omologhi iracheni che senza un deciso intervento per bloccare la lotta armata delle milizie filo-iraniane, la risposta sarebbe stata di natura militare con attacchi e raid aerei sul territorio, la deriva bellica e gli inevitabili riflessi sui civili. 

Al riguardo Izzat al-Shahbndar, politico musulmano sciita di alto livello vicino all’alleanza di governo, ha confermato nei giorni scorsi alla Reuters che i colloqui tra il premier Mohammed Shia al-Sudani e diversi leader delle milizie sono a uno stadio “avanzato”. Fra i gruppi propensi ad accogliere le richieste di disarmo degli Stati Uniti vi sarebbe anche Kataib Hezbollah, classificato come organizzazione terrorista dagli Usa, oltre a Nujabaa, Kataib Sayyed al-Shuhada e Ansarullah al-Awfiyaa. I comandanti di queste milizie affermano che il loro principale alleato e patrono, i Guardiani della rivoluzione (Irgc, i Pasdaran iraniani), hanno dato la loro benedizione per qualsiasi decisione ritenuta necessaria a evitare un conflitto devastante con Washington e Israele. Le milizie sono parte della Resistenza islamica in Iraq, gruppo ombrello di circa 10 fazioni sciite che comandano circa 50mila combattenti e arsenali fra cui missili a lungo raggio e armi antiaeree.

“L’Iran resta l’attore più importante nello scenario politico iracheno, per il sostegno alle milizie e il ruolo che svolge nel Paese dalla caduta del regime di Saddam Hussein” osserva Al Sabaileh, autore di numerosi studi strategici su guerra e terrorismo, dal Nord Africa al Medio oriente. Da un quadro di alleanze, prosegue lo studioso nato ad Amman, si è arrivati “a un vero e proprio ruolo militare e operativo” sul territorio “con la guerra a Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, ndr]. Teheran ha armato le milizie sciite, che sono diventate il pilastro dell’esercito iracheno, mentre suoi uomini sono inseriti in tutte le posizioni chiave dentro il sistema iracheno”. Quella della Repubblica islamica in Iraq, riassume lo studioso, “è una influenza molto forte, che si stava costruendo da anni” e che ha portato Teheran a essere “protagonista numero uno” tanto da essere definita “il vero governante di questo Paese”. Tuttavia, alleanze e milizie armate “hanno subito un danno clamoroso in questo ultimo anno e mezzo in Libano, Siria e nello Yemen”. Anche in Iraq, allargando l’analisi alle prossime elezioni generali in programma a ottobre, “il peso dell’Iran non sarà lo stesso, il ruolo e lo spazio di manovra politica non saranno più uguali”. “Nel momento in cui si eliminano le armi - conclude Al Sabaileh - è difficile pensare che il peso politico di queste milizie resterà invariato”.

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