Attivisti internazionali: in Cina liberare i diritti umani, non le armi
Roma (AsiaNews) Invece di pensare a vendere armi, più impegno per i diritti umani. È quello che chiedono all'Europa gruppi di tutela dei diritti della persona, alla vigilia del 7° summit tra Unione europea e Cina (Aja, Olanda, 8 dicembre). Amnesty International e Human Rights Watch (HRW) hanno chiesto alla UE di rimanere ferma sull'embargo europeo alla vendita di armi a Pechino, come prova della priorità dei diritti della persona sugli interessi economici.
Secondo Brad Adams, direttore di Human Rights Watch (HRW) in Asia, bisogna ricordare qual'è la ragione dell'embargo: il veto sulla vendita di armi era stato imposto come reazione al massacro di 15 anni fa a Piazza Tiananmen (4 giugno 1989), "quando l'esercito cinese ha puntato le armi contro la sua gente; chi ci assicura che questo non accadrà più? Le riforme necessarie ancora non sono avvenute". HRW chiede all'UE di insistere sulla questione dei diritti umani spingendo Pechino a istituire nuovi processi con osservatori internazionali per tutti i detenuti a causa della partecipazione alle proteste dell'89.
Ieri, Amnesty International ha pubblicato un rapporto che testimonia il numero crescente di attivisti per i diritti umani nel Paese di Mezzo e i rischi continui a cui sono sottoposte le loro vite. Nel testo di 42 pagine si ricorda che, chi si batte per libertà religiosa, diritti dei lavoratori, diritto alla sanità, Aids o minoranze in Cina, viene accusato dei vaghi crimini di "furto di segreti di Stato" o "sovversione" e sottoposto a incarcerazione arbitraria e torture. Amnesty chiede alla comunità internazionale, inclusa l'UE, di premere sulla Cina, affinché liberi gli attivisti detenuti e preveda una riforma delle leggi utilizzate per incarcerarli.