Attivisti indiani e birmani si uniscono alla protesta mondiale per la condanna di San Suu Kyi
di Nirmala Carvalho
Oggi a New Delhi manifestazione di protesta per la sentenza a carico della leader dell’opposizione birmana. Essi chiedono al governo indiano di promuovere azioni per il suo rilascio. Attivista birmano in esilio: Cina e Russia proteggono la dittatura militare.
New Delhi (AsiaNews) – Ottenere il rilascio di Aung San Suu Kyi, promuovere azioni decise per portare la democrazia in Myanmar, adottare un embargo armato contro il regime militare al potere. È quanto chiedono gli attivisti birmani in esilio in India, che oggi hanno organizzato una manifestazione di protesta a Jantar Mantar, New Delhi.
Ieri il tribunale di Yangon ha dichiarato colpevole Aung San Suu Kyi, condannandola a “tre anni di prigione ai lavori forzati”. Il provvedimento è stato quindi commutato – su direttiva di Than Shwe, leader della dittatura militare al potere in Myanmar – a 18 mesi di arresti domiciliari.
La sentenza ha scatenato sentimenti di condanna in seno alla comunità internazionale, pur con qualche significativa eccezione. L’Asean, associazione che riunisce i Paesi del sud-est asiatico (fra cui il Myanmar), ha espresso “profonda delusione” per il verdetto; il presidente Usa Barack Obama ha chiesto la liberazione “immediata e incondizionata” della leader dell’opposizione. Le Nazioni Unite hanno lanciato in appello per la liberazione della Nobel per la pace, ma è proprio in seno al Consiglio di sicurezza Onu che emergono le divisioni. Cina e Russia, in passato, si sono opposte alle sanzioni contro la giunta militare, sottolineando che si tratta di “questioni interne” al Myanmar.
Htun Htun Surte, co-fondatore e coordinatore di Burma Centre Delhi, conferma ad AsiaNews che “la giunta è sostenuta da nazioni potenti come Cina e Russia, e altri piccoli Paesi. Quando viene sollevata la questione relativa alla violazione dei diritti umani nel corso di incontri internazionali, molte nazioni la definiscono ‘un problema interno’ al Myanmar. Giudicando la sentenza contro la leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) “oltraggiosa”, egli aggiunge che “già ieri sono state arrestate 50 persone a Yangon e in altre parti. La giunta continuerà a sopprimere le voci dissidenti attraverso metodi barbari e brutali”.
Tint Swe, membro del consiglio dei ministri del National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB), bolla il verdetto come “esempio estremo di pregiudizio”. “Attraverso il suo avvocato, [Aung San Suu Kyi] ci ha fatto sapere di aspettarsi il meglio e prepararsi al peggio, la famosa frase che ha pronunciato suo padre [Aung San] mentre si recava a Londra per negoziare l’indipendenza nel 1947”. Egli afferma di “temere che i cuori delle persone potranno spezzarsi. Giovani disperati dovranno sacrificarsi. Alcuni potrebbero aggiungersi alla lista dei martiri del movimento per la democrazia”.
Tint Swe non si aspetta “proteste di larga scala”, che “non sono state nemmeno indette dalla Nld”. L’esule birmano aggiunge che “il regime preparerà alcune mosse tattiche come il rilascio di criminali e prigionieri di basso profilo. È probabile che verrà nominato un governo a interim entro un paio di mesi. Un modo per ingannare molti Paesi vicini e nazioni del terzo mondo”.
A sostegno della causa di Aung San Suu Kyi si schiera anche Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), il quale sottolinea che “l’India, in qualità di nazione democratica più grande al mondo, deve sostenere in maniera ferma la democrazia in Myanmar”.
“L’India – aggiunge l’attivista cristiano – è in una posizione tale da poter usare la posizione geografica e il peso economico per spingere in maniera decisa alla liberazione di Aung San Suu Kyi”. Egli si augura infine che la “Signora” possa festeggiare il prossimo compleanno – che cade il 19 giugno – da libera cittadina: “è compito della comunità internazionale e del governo indiano fare in modo che succeda”.
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