Attivisti in Kuwait: “quote rosa” nella magistratura
Ad un anno dall’ingresso delle donne in Parlamento, nuova battaglia per le pari opportunità. In un simposio internazionale, i sostenitori spiegano che né l’islam né la Costituzione impediscono alle donne di diventare giudici o magistrati. Esponente liberal: ci appelliamo all’Emiro e al premier.
Kuwait City (AsiaNews/Agenzie) – Attivisti del Kuwait e loro sostenitori chiedono l’ingresso delle donne nel sistema giudiziario dell’emirato arabo. Essi sottolineano che né l’islam né la legge interna del Paese impediscono incarichi nella magistratura, settore dal quale sono tuttora escluse. Dopo l’ingresso delle donne nel Parlamento, avvenuto nelle ultime elezioni del maggio scorso, l’emirato arabo di stretta osservanza islamica – sebbene sia ammessa la pratica di altri culti riconosciuti – si prepara a vivere un’altra battaglia per le pari opportunità.
“Non vi sono impedimenti di legge o costituzionali in Kuwait” afferma Omar al-Issa, capo dell’Associazione avvocati, perché una donna non possa ambire alla magistratura ed “è solo una questione di tempo”. L’intervento è emerso durante un simposio sui diritti delle donne, al quale hanno partecipato giudici e avvocati “in rosa” provenienti da Bahrain, Giordania, Libano, Marocco, Olanda e Stati Uniti. Esso giunge a un anno di distanza dall’ingresso nel Parlamento del Kuwait delle prime quattro donne. Un evento storico, per il piccolo e ricco Stato del Golfo.
Ali al-Rashed, esponente liberal del Parlamento, chiede una “decisione politica” e si appella “all’Emiro e al Primo Ministro” per la nomina di giudici-donne. Solo il mese scorso una richiesta avanzata da una donna avvocato, che rivendicava il diritto di entrare nella magistratura, è stata respinta dalla Corte costituzionale.
Il Kuwait – Stato islamico – adotta una visione conservatrice della religione musulmana. Esperti del Corano, chiamati a fornire le linee-guida, affermano che le donne non possono diventare giudici. Pronta la risposta di Salma al-Ajmi, legale con esperienza alle spalle e attivista per i diritti delle donne, secondo cui il lavoro di giudice è una “questione tecnica e professionale”, come è stabilito dalla legge del Paese.
Fino al 2005 nell’emirato arabo potevano votare solo i maschi adulti e cittadini da almeno 30 anni, non appartenenti alle forze armate, per un totale di circa 139mila elettori (pari al 15% dei cittadini e meno del 5% della popolazione). Il 16 maggio 2005 il Parlamento ha esteso il diritto di voto alle donne. Tuttavia, per le difficoltà nel conseguire la cittadinanza e la gran massa di immigrati, l’elettorato attivo costituisce solo il10% della popolazione.
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