Attivista tibetano: se è colpa nostra, Pechino inviti osservatori internazionali
di Nirmala Carvalho
Rispondendo al premier cinese Wen Jiabao – che ha accusato “la cricca del Dalai Lama” per gli scontri avvenuti nei giorni scorsi in Tibet – il direttore del Centro di ricerca parlamentare tibetano ricorda la campagna decennale di odio nei confronti del Tibet lanciata da Pechino ed accusa: la situazione peggiora di giorno in giorno, i poliziotti sparano a vista.
Dharamsala (AsiaNews) – Se la Cina è convinta che dietro agli scontri avvenuti in Tibet negli scorsi giorni vi è la mano del Dalai Lama “perché ha chiuso i confini, impedisce ogni comunicazione da e per Lhasa e non concede l’ingresso di osservatori internazionali? Chi è innocente non ha paura di un giudizio indipendente; anzi, ne può soltanto guadagnare”. E’ la risposta data da Penpa Tsering, direttore del Centro di ricerca parlamentare tibetano, al primo ministro cinese Wen Jiabao, che questa notte ha accusato “la cricca del Dalai Lama” delle violenze scoppiate in Tibet negli ultimi giorni.
Le proteste sono nate lo scorso 10 marzo, quando centinaia di persone - divenute con il tempo migliaia – hanno manifestato a Lhasa e in altre località del Tibet per commemorare le vittime della sanguinosa repressione del 1959, attuata dal governo comunista contro la popolazione tibetana che chiedeva il ritorno dell’indipendenza. Durante quelle rivolte, il Dalai Lama - leader spirituale del buddismo tibetano – era stato costretto all’esilio. Secondo il governo tibetano in esilio a Dharamsala, le vittime della repressione sono “centinaia”. Per Pechino, i morti sono 13.
Ad AsiaNews, l’attivista spiega: “Da informazioni ricevute, sappiamo che la situazione in Tibet continua ad essere tremenda. Manca il cibo, perché i negozi non vogliono aprire ed i commercianti tengono le merci nelle campagne, e la polizia ha ricevuto l’ordine di sparare a vista in caso di assembramenti composti da più di due persone. La gente ha paura”.
Nel corso di una conferenza stampa, il premier cinese ha detto che “gli incidenti e le violenze dei giorni scorsi in Tibet sono state premeditate e organizzate dalla cricca del Dalai Lama. I manifestanti tibetani hanno attaccato cittadini innocenti e le loro proprietà, hanno compiuto saccheggi e incendi ed hanno ucciso in modo estremamente crudele cittadini innocenti”.
Il premier ha inoltre respinto l'accusa rivolta dal Dalai Lama a Pechino di compiere in Tibet un “genocidio culturale”: “Questa è una bugia. Il loro comportamento dimostra che tutte le loro affermazioni sul fatto che chiedono l'autonomia e non l'indipendenza non sono altro che falsità. Se accettano che il Tibet fa parte della Cina, la nostra porta è sempre aperta per il dialogo”.
Queste, riprende Tsering, “sono soltanto provocazioni: se le dichiarazioni di Wen Jiabao avessero una parvenza di realtà, la coesistenza fra tibetani e cinesi sarebbe pacifica ed accettata da tempo. La realtà è un’altra: non possiamo studiare la nostra lingua nel nostro Paese, non possiamo pregare con i riti del nostro padre, non possiamo vedere il nostro leader spirituale, il Dalai Lama”.
Infine, conclude il direttore del Centro, “non si possono ignorare i termini con cui Wen Jiabao ha risposto alle domande dei giornalisti: definire il governo tibetano in esilio ‘una cricca’, ed accusare il nostro massimo vertice religioso di sedizione, fa parte di una cospirazione che va avanti da tempo, tesa a screditare la nostra causa agli occhi del mondo. Questo non deve avvenire, perché la nostra è semplicemente una lotta pacifica per la sopravvivenza”.
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