Arrestati cento monaci tibetani, protestavano per la morte di un altro monaco
di Nirmala Carvalho
Tashi Sangpo, 28 anni, era stato incarcerato per aver esposto la bandiera tibetana. Si è gettato in un fiume, forse per sfuggire alla tortura della polizia cinese. Preoccupano le ulteriori rappresaglie che le autorità possono compiere in un Paese tenuto lontano dagli occhi del mondo.
Dharamsala (AsiaNews) – La polizia cinese ha arrestato un centinaio di monaci buddisti. E’ la risposta delle autorità alla protesta inscenata da circa 2mila monaci e cittadini la sera del 21 marzo davanti alla stazione di polizia a Lajong nella contea di Machu, nel Qinghai tibetano, per la morte del monaco Tashi Sangpo, forse suicidatosi per sfuggire alla tortura.
Tashi, 28 anni del locale monastero di Raja, è stato arrestato dalla polizia il 20 marzo insieme ad altri 6 monaci. Testimoni oculari lo hanno visto correre fuori dalla stazione di polizia e saltare nella acque del fiume Machu (Fiume Giallo, per i cinesi). La forte corrente lo ha subito trascinato via e non se ne hanno altre notizie.
Secondo il gruppo Free Tibet, nella zona c’è stata grande tensione dopo che il 9 marzo i monaci di Raja hanno issato una bandiera nazionale del Tibet sopra la sala di preghiera. Il giorno dopo la polizia ha rimosso la bandiera con la forza e il 20 marzo ha arrestato i sette monaci, con l’accusa di avere issato la bandiera “separatista”.
Lo stesso 21 marzo 2mila monaci e cittadini hanno a lungo protestato davanti alla stazione di polizia, accusando che Sangpo è morto per fuggire alle percosse e alle torture. Hanno lanciato pietre e malmenato almeno un funzionario. L’agenzia Xinhua riferisce che in seguito la polizia ha arrestato almeno 95 monaci coinvolti nella protesta e sta cercando gli altri.
Nonostante le imponenti misure di sicurezza imposte da Pechino da oltre un mese, nella regione crescono la tensione e gli incidenti. Fonti locali dicono che ci sono arresti ogni giorno e che da febbraio ci sono stati almeno 60 fermi nel solo Sichuan tibetano.
“Il suicidio del monaco Tashi Sangpo – dice ad AsiaNews Urgen Tenzin, direttore del Tibetan Centre for Human Rigths and Democracy (TCHRD) – è indicativo della brutalità dei funzionari cinesi. Tashi Sangpo, che ha dispiegato la bandiera tibetana, sul monastero è stato condotto in un centro di detenzione, dove la tortura è un metodo che sfida tutte le norme e i regolamento sul trattamento dei detenuti”. “Speriamo – aggiunge – che il suicidio di questo monaco non si risolva solo in critiche della comunità internazionale, che deve rendersi conto della insicurezza della situazione dei monaci e delle monache nei monasteri e anche di tutti i tibetani in Tibet”.
Preoccupazione per le “serie conseguenze” che la manifestazione potrebbe avere per i tibetani della contea di Machu è stata espressa da Stephanie Brigden, direttrice di Free Tibet. “Con il Tibet bloccato e tenuto fuori dalla vista del mondo, la Cina può impunemente agire contro i manifestanti. Free Tibet è profondamente preoccupato per la sicurezza futura di tutti i tibetani della zona”.
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