03/08/2015, 00.00
IRAQ
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Arcivescovo di Erbil: scuola, istruzione per salvare i cristiani dalla barbarie dello Stato islamico

Ad un anno dall’invasione della piana di Ninive. mons. Bashar Warda racconta la situazione dei profughi cristiani. La regione curda è “sicura” ma “aspettiamo la liberazione” delle nostre terre. Alloggi, strutture sanitarie, scuole le priorità. L’istruzione e l’alfabetizzazione dei ragazzi la risposta alle violenze jihadiste, per il futuro dei cristiani in Iraq.

Erbil (AsiaNews) - “Oggi possiamo dire che il Kurdistan irakeno è sicuro e il suo governo è di grande aiuto per noi. Ora aspettiamo la liberazione delle nostre terre ma, aspetto ancor più importante, attendiamo che esse siano messe in sicurezza prima di iniziare l’opera di ricostruzione”. È quanto afferma ad AsiaNews l'arcivescovo caldeo di Erbil (nel Kurdistan irakeno) mons. Bashar Warda, ad un anno di distanza dal grande esodo della comunità cristiana dalla piana di Ninive, abbandonata in seguito all’avanzata dello Stato islamico. A fronte di una situazione politica “complicata” a livello “regionale”, aggiunge il prelato, “tutto quello che possiamo fare è aiutare la nostra gente, favorire la collaborazione reciproca e incoraggiarli a restare con programmi di aiuto mirati in questi tempi difficili”. E promuovere l’istruzione fra i giovani, come risposta alla barbarie jihadista. 

Nella notte fra il 6 e il 7 agosto dello scorso anno centinaia di migliaia di persone hanno lasciato i villaggi della piana di Ninive, da Qaraqosh a Karameles, a grande maggioranza cristiana, trovando rifugio a Erbil e in altre aree del Kurdistan. La scorsa settimana il patriarca caldeo mar Louis Raphael I Sako ha indirizzato a papa Francesco e ai vescovi di tutto il mondo una preghiera per ricordare il dramma di questa comunità perseguitata. Un appello alla pace e alla sicurezza “prima che sia troppo tardi” e la forza “di rimanere saldi in questa tempesta”. 

Mons. Warda, da subito in prima linea nell’opera di assistenza e aiuto ai rifugiati cristiani, ricorda “il grande aiuto ricevuto” e conferma che oggi, a 12 mesi di distanza dall’esodo biblico, “non abbiamo famiglie nelle tende, nelle aule scolastiche o in edifici non ancora ultimati”. La Chiesa caldea ha affittato “oltre 570 fra case e appartamenti”, cui si aggiungono 1670 prefabbricati e il sostegno economico alle famiglie che hanno affittato da sé un alloggio”.

“Un riparo accogliente, istruzione e cure mediche” restano ancora i servizi primari da garantire alle famiglie di rifugiati, avverte l’arcivescovo caldeo di Erbil, con particolare attenzione all’ambito sanitario. Nella capitale del Kurdistan irakeno vi sono due cliniche, la Mat Shmone e la Mar Yousif (St Joseph), cui si rivolgono migliaia di persone; oltre 2mila pazienti nella sola St. Joseph, aggiunge, che ha un “costo di gestione mensile di oltre 42mila dollari, coperto in gran parte dalle donazioni che riceviamo”. 

Grazie alla collaborazione di ong internazionali ed enti caritativi cattolici sono state costruite 11 scuole, dal giugno di quest’anno 13mila famiglie ricevono cibo e altri generi alimentari di prima necessità. “Come Chiesa - spiega il prelato - stiamo cercando di alleviare le difficoltà della vita quotidiana. Una situazione ben lontana dall’ideale, ma ci stiamo impegnando affinché possano vivere con dignità”. I profughi “hanno poca speranza nel futuro”, aggiunge, “ma dobbiamo incoraggiarli, stare vicino a loro, ascoltarli e dare loro ciò di cui hanno bisogno”. 

“La speranza per me - racconta mons. Warda - non è un mero concetto, ma un modo di vivere e dobbiamo capirlo nel quotidiano”. Secondo qualcuno, aggiunge, è “una pazzia” investire somme ingenti di denaro in progetti di assistenza - sanità, alloggi, istruzione - ma “da vescovo devo prendermi cura dei bisogni quotidiani della mia gente e mostrare loro che l’amore di Cristo supera le malvagità commesse dallo Stato islamico”. Nel lungo periodo, avverte, i più grandi pericoli che corrono i cristiani in Medio oriente sono rappresentati “dall’ignoranza e dall’analfabetismo”, per questo “lavoriamo per aiutare i nostri giovani a portare a termine i loro studi”. È difficile immaginare un futuro senza l’istruzione dei ragazzi e delle ragazze cristiane: “i nostri antenati - conclude il prelato - hanno scelto l’educazione come strumento di promozione della cultura nella terra di Mesopotamia, la loro, invasa dal deserto Arabo al tempo della diffusione dell’islam. Una situazione molto simile a quella odierna, e che vede i cristiani dover fronteggiare l’avanzata dello Stato islamico”. Del resto il contributo fornito dai cristiani nel passato nei campi della filosofia, della storia, della matematica e della scienza sono riconosciuti ancora oggi dagli intellettuali irakeni.(DS)

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