Arafat e la Chiesa cattolica, un rapporto incompiuto
Roma (AsiaNews) Con lo spegnersi di Arafat, molte cose rimangono irrisolte nel rapporto fra leadership palestinese e Chiesa cattolica. Sebbene l'Accordo di base fra Santa Sede e Autorità Nazionale Palestinese (Anp) sia giudicato il migliore accordo tra i pochi che tutelano la presenza dei cristiani in Paesi arabi a maggioranza musulmana, i problemi non mancano.
Su circa 3,5 milioni di arabi nei territori palestinesi, i cristiani sono circa 40 mila. In diverse zone, questi cristiani vivono da anni una continua discriminazione di fatto. Proprietà dei cristiani si parla di decine di case e migliaia di ettari di terreni vengono spesso sottratti da musulmani palestinesi senza che le legittime autorità muovano un dito per rimettere giustizia. Anzi, talvolta in appropriazioni e ruberie sono implicati proprio i responsabili politici locali. Cristiani di Betlemme, Bet Sahour, Bet Jala e Gaza denunciano anche violenze fisiche contro di loro: stupri, irrisione della loro fede, obbligo non solo a rispettare l'islam, ma a baciare il Corano e a definirsi "musulmani" dietro minacce di violenza.
I responsabili ecclesiali del territorio, fra i quali lo stesso Patriarca latino mons. Michel Sabbah, hanno reso noto al presidente Arafat una lunga lista di discriminazioni, ma nulla si è mosso.
Il rapporto fra il leader dell'Olp e i cristiani è stato sempre pieno di promesse forse mai mantenute o realizzatesi solo a metà. Nei primi tempi della sua leadership in seno al movimento palestinese Arafat si è distinto per la volontà di creare uno Stato palestinese laico e democratico. La laicità è certo la migliore garanzia che le Chiese e i cristiani possono sperare nel Medio oriente.
Negli ultimi anni, però, sotto l'impulso del conflitto arabo-israeliano, la promessa laicità del nascituro Stato palestinese è messa a rischio. La stessa bozza di Costituzione per lo stato palestinese non è più rigorosa nella prospettiva laica e pluralista e rischia di slittare in direzione più islamica. Il progetto di Costituzione prevede infatti l'appartenenza della Palestina non solo alle nazioni arabe (cosa del tutto naturale dal punto di vista geografico e culturale), ma anche a quelle islamiche. Commentatori ecclesiastici hanno più volte fatto presente al presidente Arafat che uno stato laico in cui i cristiani vengano considerati cittadini alla pari dei musulmani - non può definirsi parte integrante dei paesi islamici.
Anche alcune decisioni politiche, che avrebbero voluto esprimere buona volontà verso la minoranza cristiana, non sono state del tutto conformi alla laicità dello Stato. Un esempio su tutti: la decisione di riservare seggi nell'Assemblea nazionale a rappresentanti cristiani, per assicurare una presenza cristiana in seno al parlamento. Tale gesto può essere visto come segno di solidarietà con i cristiani, ma rischia di riprodurre un modello di rappresentanza "confessionale", contrario alla laicità dello stato.
Il rapporto fra l'Autorità palestinese e la Chiesa cattolica è regolato dall'Accordo di base firmato dalla Santa Sede e dall'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) a nome dell'Autorità nazionale palestinese. L'Accordo è stato firmato il 15 febbraio 2000 ed è entrato in vigore subito. Il patto racchiude i grandi principi che regolano i rapporti fra il governo palestinese e la Chiesa cattolica, come ad esempio la conservazione dei diritti acquisiti dalla Chiesa, il rispetto della libertà religiosa e di coscienza, l'uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro religione.
L'Accordo, inoltre, presenta un argomento molto specifico (art. 4), ovvero l'osservanza e il mantenimento del regime giuridico dei Luoghi Santi internazionalmente riconosciuto. Tale regime è conosciuto come status quo. Nello specifico, l'articolo 4 interessa la Basilica della Natività di Betlemme, il maggior santuario cristiano presente in territorio palestinese.
Secondo le norme internazionali è dovere del governo civile palestinese pro-tempore assicurare il mantenimento dello status quo. Ma anche su questo fronte vi sono questioni irrisolte. Prendiamo ad esempio un fatto accaduto nella primavera del 2002, ma significativo dela volontà del'Anp del voler difendere o no la libertà religiosa. Due anni fa i monaci del patriarcato greco ortodosso di stanza a Betlemme hanno rubato la serratura della porta principale della Basilica della Natività, sostituendola con una loro serratura e privando così la Chiesa cattolica e l'armena del diritto di avere la chiave della Basilica. Tale diritto fa parte del regime dello status quo, riconosciuto dall'art. 4 dell'Accordo di base. La Chiesa cattolica, dopo mesi di inutili e infruttuose trattative con la Chiesa greco-ortodossa, si è rivolta ufficialmente al presidente Arafat con lettera del custode di Terra Santa in data 12 aprile 2003, chiedendo un intervento dell'Autorità palestinese per recuperare la serratura rubata, invocando in via ufficiale l'Accordo di base, in particolare proprio l'articolo 4. Questa lettera è stata seguita da una visita personale ad Arafat dell'allora Custode Battistelli ed al rappresentante pontificio. Arafat ha nominato una commissione ad hoc per risolvere il problema; di recente la commissione ha accolto le istanze della Chiesa cattolica e stava per emettere il decreto definitivo che obbliga i greci ortodossi a restituire la serratura rubata, ma di fatto il governo palestinese non ha ancora assicurato tale restituzione. Se ne dovrà occupare con urgenza il nuovo governo palestinese, quale segno obbligato di serietà rispetto ai suoi doveri internazionali. Il fatto della chiave, in sé, può sembrare una banalità. Esso è in realtà un test per verificare la credibilità dell'autorità palestinese. Il rispetto infatti dello status quo, dal quale dipende l'esistenza stessa della Chiesa in Terrasanta, in questo caso dipende soltanto dall'Anp; il mancato rispetto non può essere imputato né all'occupazione, né agli scontri armati.
Le violenze contro i cristiani e la garanzia per l'uso dei Luoghi santi della cristianità sono due punti fondamentali per capire che tipo di Stato potrà essere la futura repubblica palestinese. Parlando a un incontro islamo-cristiano nel palazzo di Moqtara a Ramallah, lo scorso agosto, il Patriarca Sabbah ha detto: "È necessaria un'azione rapida e decisiva per bloccare i propositi di coloro che cercano di sfruttare la situazione per creare ancora più danni e distruzioni in questa terra e al suo popolo". Il rischio è che il mondo, guardando questi fatti, ne deduca ha detto il Patriarca - "che l'Autorità palestinese è incapace di proteggere tutti i suoi cittadini e perciò essa non merita di divenire un vero e proprio Stato".