Appesa a un filo la vita di Rizana Nafeek, dal 2007 condannata a morte in Arabia Saudita
Colombo (AsiaNews) - La vita di Rizana Nafeek, musulmana srilankese condannata a morte in Arabia saudita, è appesa a un filo. Nonostante gli innumerevoli appelli per la sua liberazione mossi a livello nazionale e internazionale da governo di Colombo, ong e Caritas, dal 2005 la giovane è rinchiusa nelle prigioni saudite per il presunto omicidio di un neonato, figlio della famiglia per cui lavorava come cameriera. Dal 2007 è nel braccio della morte. Di recente, anche Catherine Ashton, Alto commissario e vicepresidente dell'Unione Europea (Ue), si è espressa sul caso, dichiarando che l'Ue "sta seguendo la vicenda da vicino" in collaborazione con i funzionari dello Sri Lanka, ma che secondo le autorità saudite "il caso non è ancora chiuso".
Rizana Nafeek, originaria di una famiglia molto povera del villaggio di Mutur (distretto orientale di Trincomalee), era arrivata in Arabia Saudita a soli 17 anni - con passaporto falso - per lavorare come cameriera. Il bambino del suo datore di lavoro è morto mentre lei prestava servizio. Rizana è stata allora accusata di omicidio e condannata a morte con un processo-farsa, basato su una confessione firmata senza che ella ne conoscesse il contenuto perché scritta in un'altra lingua. Lo scorso anno, un funzionario srilankese per i lavoratori all'estero è stato arrestato per aver fornito a Rizana documenti falsi.
Intanto, anche il governo dello Sri Lanka si muove perché il caso di Rizana non cada nel dimenticatoio. Il 9 maggio scorso Dilan Perera, ministro del Lavoro all'estero, ha ricordato che "l'esecuzione è ancora in sospeso" e che una delegazione del Paese è andata a visitare la famiglia del bebè morto, per cercare di chiarire la situazione e chiedere il loro perdono.
Secondo l'Asian Human Rights Commission, l'Arabia Saudita ha uno dei più alti tassi di esecuzioni nel mondo. Alla fine del 2009, Amnesty International ha denunciato la presenza di almeno 141 persone nel braccio della morte in Arabia Saudita, di cui 104 cittadini stranieri. Lavoratori migranti provenienti da Africa, Asia e Medio Oriente sono le principali vittime.