Appena cominciati i “colloqui indiretti” mostrano le prime tensioni
Botta e risposta sul congelamento degli insediamenti a Gerusalemme est. Gli israeliani appaiono preoccupati e irritati per l’atteggiamento di Obama. “Con amici come questi, chi ha bisogno di nemici?” chiede oggi un editoriale di Yedioth Ahronot.
Gerusalemme (AsiaNews) – Appena cominciati, i colloqui indiretti tra israeliani e palestinesi, mediati dagli Stati Uniti, hanno conosciuto accenti polemici e smentite, ma soprattutto sembrano indicare la preoccupazione e anche l’irritazione di Israele per l’atteggiamento del presidente americano Barack Obama, che appare meno “amico” dei suoi predecessori. “Con amici come questi, chi ha bisogno di nemici?” chiede oggi un editoriale di Yedioth Ahronot, il più diffuso quotidiano israeliano.
Il giornale si riferisce in primo luogo al problema della sicurezza, questione estremamente sensibile per gli israeliani, tema che i colloqui non hanno ancora affrontato, mentre si è già toccata un’altra questione delicata, quella degli insediamenti, in particolare a Gerusalemme est. L’Autorità paestinese ha accusato gli israeliani di aver registrato, al primo giorno di negoziati, la prima violazione della controparte. L’accusa è venuta da Yasser Abed Rabbo, segretario del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, che ha chiesto l’immediato fermo della costruzione di 14 case a Gerusalemme est.
Un alto responsabile israeliano ha replicato che “Israele non ha pres alcun impegno su tale questione”. Ulteriore intervento di Nimir Ammad, uno dei consiglieri del presidente palestinese Mahmoud Abbas, che ha parlato di “tentativi di mettere in imbarazzo o sfidare l’amministrazione americana” ad “uso interno” e ha sostenuto l’esistenza di un accordo con l’inviato Usa, George Mitchell, per “bloccare le dichiarazioni di natura tale da rendere teso il clima”.
Per gli israeliani pare che lo sia già. Yedioth Ahronot sostiene che Obama chiede “sacrifici” per la pace solo agli israeliani. “Per esempio, Obama ha chiesto all’Olp, Ftaah o Hamas di rimuovere le frasi delle loro rispettive costituzini, che chiamo tutte alla distruzione di Israele? Ha suggerito a Mahmoud Abbas che bisognerebbe accettare il diritto di Israele di essere riconosciuto come Stato ebraico? Ha proposto che imam, mullah e religiosi smettano con le velenose prediche antiebraiche, che sono un elemento chiave nel fomentare attacchi terroristici contro Israele?”.
Le mosse di Obama, secondo il giornale, “suggeriscono che la visione di soluzione del conflitto sia meno sulla ‘pace’ con la garanzia della sicurezza di Israele e più sullo smantellamento della sua sicurezza un ‘pezzo’ alla volta”. “I palestinesi credono che il tempo giochi per loro”, afferma da parte sua un editoriale del Jerusalem Post.
Col quale, sull’altro fronte, sembra concordare il saudita Arab News. Per il quale “gli israeliani dovrebbero stare attenti al pericolo che se i negoziati diretti non giungono entro settembre, gli americani potrebbero andare in cerca di una soluzione loro. Questa in effetti è già la posizione preferita dai alestinesi. Ma essi sanno che non possono arrivare a questo se prima non mostrano aver dispiegato i loro migliori sforzi nei negoziati indiretti. Lo stesso imperativo si applica agli israeliani. Debbono avere una buona scusa per sfuggire a un process del quale non vogliono la conclusione. La scusa potrebbe essere ancora una volta Hamas e la Striscia di Gaza, che ha portato i precedenti colloqui a una fine agitata e sanguinosa”.
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