Ankara minaccia operazioni militari nel Kurdistan irakeno
Ankara (AsiaNews) – Sempre più forti le voci nell’esercito turco che vogliono combattere il terrorismo curdo sfondando anche il confine irakeno. Sfruttando e indirizzando il risentimento popolare dopo l’esplosione dei giorni scorsi, governo ed esercito cercano di influenzare il futuro del Kurdistan irakeno e di Kirkuk.
Sono trascorsi solo 4 giorni dall’esplosione della bomba in un centro commerciale di Ankara, che ha ucciso sei persone, ferite un centinaio e sventrate le vetrine del palazzo di cinque piani .
L’edificio, addobbato di palloncini colorati bianchi e rossi, grandi bandiere turche, e manifesti è stato riaperto al pubblico sabato scorso. La gente si è affollata nei magazzini per le compere e per manifestare solidarietà ai commercianti e ai parenti dei feriti e degli uccisi.
Tra le foto dei commessi morti a causa dell’esplosione, vi sono numerose scritte contro il terrorismo e il PKK, il partito dei lavoratori curdi, accusato di essere il colpevole che ha fornito l’esplosivo al giovane kamikaze che si è fatto esplodere lo scorso martedì scorso alla fermata dell’autobus di fronte al centro commerciale.
I curdi e Kirkuk
L’ organizzazione politica ha negato ogni responsabilità; nessuno ha finora rivendicato l’atto terroristico; eppure migliaia di persone hanno manifestato contro i curdi con pesanti slogan come: “Maledetto il PKK”, “Saliremo sui monti e li bruceremo tutti”.
In contemporanea, sabato scorso il presidente Ahmet Necdet Sezer, strenuo difensore della laicità turca, ha bocciato la riforma parlamentare che prevedeva l’elezione diretta del capo dello Stato, proseguendo così il braccio di ferro tra i laici, i militari nazionalisti e i filo islamici.
L’atto terroristico nel cuore della capitale turca giunge dunque in un momento delicato per le relazioni tra il potere civile e quello militare. Da una parte esso ha inflitto un grosso colpo alla sicurezza del Paese; dall’altra sembra però aver favorito un avvicinamento tra il governo e le gerarchie militari, proprio in nome della lotta al terrorismo, fino a giustificare un possibile intervento nella zona del Kurdistan iracheno.
Già il 12 aprile scorso, Yasar Buyukanit, capo delle Forze armate turche, ha dichiarato senza mezzi termini la necessità di intraprendere un’operazione militare contro i ribelli curdi nel nord dell’Iraq. La minaccia rischia di aprire un altro fronte in una regione già martoriata da conflitti e tensioni, e trova una forte opposizione da parte dell’esercito americano che ancor oggi esorta la Turchia ad astenersi da qualunque operazione militare oltre la frontiera curda.
Eppure i militari turchi continuano a dichiarare che migliaia di separatisti curdi hanno trovato rifugio proprio nel Kurdistan irakeno, utilizzandola come base per la guerriglia in Turchia. Massud Barzani, presidente della zona autonoma del Kurdistan iracheno, ribadisce intanto che a far gola ai turchi è soprattutto Kirkuk, città ricca di petrolio, che a novembre dovrebbe decidere il suo destino con un referendum popolare. La Turchia teme che se questa città torna sotto l’influenza del Kurdistan iracheno, andrà in frantumi il sogno di Ankara di poter mettere le mani su un patrimonio petrolifero pari alla metà di quello iracheno. Allo stesso tempo si teme che una regione autonoma curda ai confini possa rinfocolare il desiderio di indipendenza e autonomia dei curdi in Turchia. Questo spiegherebbe la foga con cui la Turchia dice di volersi difendere dal terrorismo, mentre dichiara anche di voler tutelare la minoranza turca presente a Kirkuk, insieme ai cittadini di lingua e tradizione turcomanna.
Tensione con gli Stati Uniti
La bomba di Ankara ha riportato l’esercito e la questione curda al centro della scena pubblica e tutti sembrano ora più disponibili all’intervento che i militari turchi caldeggiano da tempo.
Neppure il primo ministro Erdogan, in questo momento di forte crisi politica si tira indietro: per ingraziarsi i militari - con cui ultimamente ha avuto non pochi scontri - e l’opinione pubblica giovedì scorso ha dato il suo assenso ad una possibile invasione nel nord dell’Iraq per fronteggiare gli attentati terroristi dei curdi.
Il gioco è molto pericoloso, perché se da una parte esso cerca di soddisfare i militari e i suoi futuri elettori, dall’altra crea nuovi problemi con gli Stati Uniti, che non hanno alcuna intenzione di aprire nuovi scontri nell’unica parte tranquilla della nazione irachena. In una conferenza stampa pubblicata sabato sul Turkish Daily News , Tom Casey, portavoce del Dipartimento di Stato americano si è espresso con chiarezza: “Non pensiamo assolutamente che un’azione militare unilaterale dalla Turchia o da qualunque altro luogo in Iraq potrebbe risolvere qualcosa”. E se la complessa e aggrovigliata questione curda è una realtà che non si può nascondere, Casey ha ribadito la necessità di trovare soluzioni pacifiche. “Ciò significa – ha dichiarato – che quanto è necessario, deve essere fatto in spirito di collaborazione e di buon vicinato tra i Paesi in causa”.
Proprio mentre veniva diffusa questa dichiarazione, l’agenzia indipendente dell’Irak (VOI) ha annunciato che due caccia militari turchi stavano tranquillamente violando lo spazio aereo del Kurdistan autonomo addentrandosi fino a dieci chilometri nel nord dell’Iraq.
31/12/2009
29/12/2017 08:54