Ancora incertezze al tavolo dei "colloqui a sei" sul nucleare
Pechino (AsiaNews/Agenzie) I "colloqui a sei sul nucleare" sono ricominciati ieri a Pechino dopo la sospensione di un mese. Al tavolo della 4ª sessione di incontri sono presenti rappresentanti di Cina, Giappone, Russia, Stati Uniti e delle due Coree. Le speranze per un accordo sono precarie in quanto Pyongyang insiste sul diritto di mantenere un programma atomico per scopi energetici e civili, mentre Washington sostiene che le garanzie fornite dal regime nord-coreano sono insufficienti.
Kim Kye-gwan, negoziatore nord-coreano, ha affermato dopo la sospensione dei lavori che il suo Paese "non avrebbe tollerato alcun tipo di intromissione nel diritto allo sviluppo di un programma nucleare civile". "Questo diritto ha aggiunto - non deve essere né ottenuto né approvato da altri Stati". Kim ha poi dichiarato che avrebbe partecipato ai successivi colloqui "con atteggiamento flessibile".
Christopher Hill, capo della delegazione statunitense, ha dichiarato: "Conosciamo la loro posizione: è sbagliata, ma in evoluzione". Ad agosto diplomatici di Pyongyang si erano incontrati a New York con una controparte statunitense, ma senza ottenere progressi. La scorsa settimana Hill ha inoltre riproposto una serie di misure per evitare l'utilizzo della tecnologia nucleare, come un aiuto energetico offerto dalla Corea del Sud che renderebbe inutile la produzione di energia nucleare.
Seoul ha chiesto ai suoi delegati di essere "più elastici possibile". Kenichiro Sasae, leader della delegazione giapponese, ha inoltre dichiarato che è un "segnale importante" il fatto che la Corea del Nord "si interessi nei dettagli riguardanti lo smantellamento del programma nucleare". "Se si verifica questa ipotesi, penso che sarà possibile essere più flessibili nel discutere gli interessi nord-coreani nei prossimi incontri".
L'ultima crisi nucleare risale alla fine del 2002 dopo l'accusa degli Usa alla Corea del nord di sviluppare un programma nucleare segreto che violava accordi precedenti. Pyongyang ha sempre negato l'accusa definendola "un inganno degli Stati Uniti".