03/03/2009, 00.00
ARABIA SAUDITA
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Anche la biancheria intima in campo per le riforme saudite

Una campagna contro il divieto per le donne di lavorare nei negozi che vendono biancheria riporta l’attenzione sulle riforme nel regno. A febbraio il re ha apportato profonde modifiche nelle strutture di potere, sostituendo personaggi utraconservatori. Si è parlato di “audace riforma”, ma c’è chi pensa che sia solo riaffermazione della centralità dello Stato. Conservatori all’attacco delle tv di proprietà di membri della famiglia reale.
Beirut (AsiaNews) – Anche la biancheria intima femminile diventa un mezzo per parlare di riforme in Arabia Saudita. Velata dalla testa ai piedi, impossibilitata a guidare l’automobile o a uscire di casa senza il suo “guardiano” (padre, marito, fratello, ecc.) la donna saudita è infatti costretta a rivolgersi a un uomo per comprare la propria biancheria intima. E’ la conseguenza del divieto che a Riyadh è fatto alle donne di lavorare nei negozi che vendono biancheria e contro il quale una accademica saudita, Reem As’ad, ha lanciato una campagna su Facebook.
 
Della vicenda scrive oggi Arab News, che sottolinea l’assurdità della situazione che vede i negozi di biancheria – articolo tipicamente femminile – eccezione alla regola per la quale uomini e donne possono andare a comperare quello che vogliono in qualsiasi negozio, ove saranno serviti da commessi o commesse. “La campagna di As’ad – conclude il giornale – potrebbe finire senza alcun risultato, anche perché non ha di mira una particolare legge. Lei e i suoi sostenitori sono contro un modo di pensare per il quale le donne debbono stare a casa. Ma questo modo di pensare viene sfidato ogni giorno e la nomina di una donna come viceministro, pochi giorni fa, dà la speranza che il cambiamento sia in strada”.
 
Il quotidiano, che esprime le posizioni di re Abdullah, fa riferimento alla “primavera di San Valentino”, come è stata definita - in Occidente – la raffica di nomine che l’anziano monarca ha compiuto il 14 febbraio e che ha visto la sostituzione di esponenti ultraconservatori con altri considerati più “aperti”. A fare più effetto, la nomina di Norah al-Fayez, una esperta in educazione, come vicemnistro per l’educazione femminile. Il grado più alto mai avuto da una donna in Arabia Saudita.
 
I mutamenti portati quel giorno nella struttura del Paese sono stati profondi: a cambiare sono stati quattro ministri, i capi e la struttura del Consiglio degli ulema, il responsabile della polizia religiosa (la temuta e malfamata Muttawa), il numero dei capi dell’ordinamento giudiziario. Di particolare importanza è stata la sostituzione del capo del Supremo consiglio giudiziario, lo Sheikh Saleh al-Luhaidan, un ultraconservatore che gli attivisti sauditi accusavano di bloccare ogni riforma e l’immissione nel Consiglio degli ulema di esponenti di tutte le scuole sunnite, rompendo il monopolio della ultraconservatrice scuola Hanbali, fino ad allora unica presente nel Consiglio.
 
Quei giorni, il quotidiano panarabo Al-Hayat titolò sulla “Audace riforma”, la Saudi Gazette su “Spinta per la riforma”. L’editoriale di Arab News parlò di “chiaro segno di una grande trasformazione” e Ibrahim Mugaiteeb, leader della Human Rights First Society commentò: “tutto è fantastico”.
 
Qualche voce fuori campo, come Toby Jones, della americana Rutgers University, esperto dei Paesi del Golfo, ha sostenuto che in realtà la “riforma” di re Abdullah, più che a mirare alla modernizzazione ha come obiettivo la riaffermazione della centralità dello Stato, a discapito del potere che, nel tempo, avevano preso corpi più o meno separati, in particolare gli esponenti religiosi. Egli indica in particolare proprio la condizione femminile. Il 2009, nota, doveva essere quello della concessione del voto alle donne, in occasione delle elezioni municipali, ma non se ne parla più.
 
Quale che sia l’interpretazione esatta, i religiosi tradizionalisti non mollano. Ieri si è avuta notizia di un editto di uno studioso islamico che chiede la messa sotto accusa di due magnati sauditi in quanto le loro televisioni sono “pericolose non meno della droga”. L’affermazione di Youssef al-Ahmed, docente di legge islamica alla ultraconservatrice al-Imam University, è di particolare interesse in quanto attacca il principe Alwaleed bin Talal – nipote di re Badullah - e Waleed al-Ibrahim, cognato dell’ex re Fahd. Essa, inoltre, arriva sei mesi dopo quella dell’ex capo del supremo tribunale del regno, secondo il quale era lecito uccidere i proprietari di Tv satellitari che trasmettono programmi “immorali”. La strada della riforma, insomma, è ancora molto lunga. (PD)
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