Americani a casa, ci aspetta la guerra civile e la divisione dell’Iraq
di Joseph Mahmoud
La decisione di ritirare l’ultimo contingente di combattimento americano, non lascia tranquilli gli irakeni. Il futuro rischia di dividere il Paese in tre zone: sciita, sunnita e curda. Iran, Arabia saudita, Siria, Giordania, Turchia si intromettono in modo pesante sulla politica bloccando la formazione di un governo forte. Agli Stati Uniti tutto questo sembra non interessare più. Lo sfogo di un intellettuale irakeno.
Baghdad (AsiaNews) - Dopo sette anni di guerra, l’ultima brigata di combattimento ha lasciato l’Iraq mettendo fine almeno in apparenza all’operazione “Iraqi freedom”. A guardare come essi lasciano il Paese, sembra proprio che agli Stati Uniti non interessa la libertà dell’Iraq. Tutti noi irakeni prevediamo che nel Paese scivolerà verso la guerra civile e la divisione.
Da sei mesi i dirigenti iracheni non riescono a formare il nuovo governo. I Paesi vicini - in particolare Iran, Arabia Saudita, Siria – accrescono la loro ingerenza negli affari iracheni e esercitano un influsso preoccupante sui dirigenti iracheni. Il primo ministro al-Maliki ha dichiarato ieri che il futuro premier deve essere sciita e i dialoghi per un governo di unità nazionale sono arenati.
A me sembra che gli americani non hanno mai voluto risolvere le loro divergenze e formare un governo forte per proteggere l'Iraq e il suo popolo dalle grinfie del terrorismo e dei loro atti odiosi:
l'attentato più recente a Baghdad - del 17 agosto - è costato la vita a 59 persone e ha fatto oltre 100 feriti; ogni giorno, poi, si diffondono tristi notizie su uccisioni e rapimenti.
Sui media emergono rivendicazioni di al-Qaeda. Secondo questi farneticanti messaggi, l’ultimo attentato è da attribuire allo Stato islamico dell’Iraq che ha colpito “un gruppo di sciiti e di apostati che hanno venduto la loro fede per denaro e divenire uno strumento nella guerra contro gli irakeni”.
In realtà, tutti questi attentati sono politicizzati e al-Qaida non c’entra niente. Il loro scopo è intimidire la popolazione.
Con tutto ciò gli Stati Uniti, a sette anni dalla caduta di Saddam Hussein, hanno deciso di ritirarsi. Ma intanto hanno distrutto tutto: l’Iraq è ancora soggetto al cap. VII delle Nazioni Unite, ma non ha alcun governo. E le mancanze sono molte: niente servizi, niente acqua, né elettricità. L’unica cosa in cui abbondiamo sono i disoccupati.
Cosa ci aspetta dopo il ritiro Usa?
Gli analisti si aspettano che l'Iran si instauri nel sud sciita, in modo indiretto, attraverso il partito al Dawa. Gli sciiti hanno già un esercito di milizie.
Arabia Saudita, Siria e Giordania, in collaborazione con i resti del partito Baath, cercheranno di fermarli. Anche loro hanno un esercito di miliziani (al-sahwa, il risveglio); anche i curdi, con i peshmerga da sempre sostenuti dagli Usa e i meglio organizzati – entreranno in gioco.
L’Iraq sarà diviso in tre regioni: uno sciita al su e al centro; uno sunnita ad al Anbar, Salahuddin, Mosul e parti di Baghdad; uno curdo con Sulaymaniyah, Erbil, Dohuk e parti di Kirkuk (se non tutta la città).
Anche la Turchia sarà presente sul terreno, col pretesto di proteggere i turkmeni e continuare la lotta contro i guerriglieri curdi del Pkk.
L’Iraq sparirà e con esso il popolo irakeno, diviso in grupi etnici e religiosi. Ma tutto questo scenario sembra non interessare più gli Stati Uniti: essi vanno via senza garantire un governo forte, lasciando il Paese sull’orlo della guerra civile.
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