Algeria: ostaggi costretti a indossare cinture esplosive, usati come scudi umani, uccisi senza motivo
Algeri (AsiaNews/Agenzie) - Ostaggi uccisi senza motivo apparente, usati come scudi umani, costretti a indossare cinture esplosive. Arrivano i primi racconti di sopravvissuti alla carneficina dell'impianto del gas di In Amenas, mentre il bilancio ufficiale delle vittima parla di 38 ostaggi (37 dei quali non algerini) e 29 terroristi, secondo quanto dichiarato ieri pomeriggio dal primo ministro algerino Abdelmalek Sellal (nella foto). Il bilancio però, per lo stesso premier, potrebbe "non essere definitivo", perché mancano all'appello diversi lavoratori stranieri, se sono esatti gli elenchi forniti dalle rispettive ambasciate.
Le cifre fornite dalle autorità di Algeri indicano che il maggior numero di vittime è giapponese: 9 dei 17 che erano presenti nell'immenso impianto. In proposito, il primo ministro giapponese Shinzo Abe si è detto "senza parole" per la morte di persone innocenti, aggiungendo che mancano ancora notizie tre cittadini. "L'uso della forza da parte di terroristi contro persone innocenti - ha sostenuto - è totalmente senza giustificazioni. Lo condanniamo fermamente".
Tra le persone che hanno perso la vita ci sono anche 6 filippini e quattro sono ancora i dispersi, mentre a Kuala Lumpur si parla di due malaysiani dei quali non si hanno notizie.
Da Tokyo e Manila arrivano anche i primi racconti di superstiti rientrati in patria.
In un resoconto dello Yomiuri Daily, un ostaggio ha raccontato che era a bordo di un autobus che è stato attaccato da uomini armati. Il conducente ha cercato di fuggire, ma una ruota è scoppiata, costringendo i passeggeri a cercare rifugio in un alloggio. L'uomo si è barricato nella sua stanza e si è rannicchiato al buio, ma, poco dopo, la porta è stata abbattuta e i terroristi lo hanno catturato e legato. E' stato poi portato in una stanza dove erano radunati altri ostaggi stranieri e dove, all'improvviso, uno dei carcerieri ha aperto il fuoco, uccidendo due persone. "Ero pronto a morire".
Lui e un collega filippino sono stati poi portati verso l'impianto, ma il veicolo su cui erano è stato colpito da una raffica di proiettili. I rapitori hanno abbandonato il mezzo e i prigionieri sono rimasti soli. Quando, dopo il tramonto, la sparatoria è cessata, il giapponese è fuggito verso il deserto: ha vagato per un'ora, prima di incontrare i soldati algerini.
Da Manila, Joseph Balmaceda ha raccontato di aver visto un ostaggio giapponese costretto a indossare una cintura di esplosivo, mentre lui e altri venivano usati come scudi umani per fermare gli elicotteri militari. Liberato dai soldati algerini, Balmaceda si è detto felice di essere di nuovo nelle Filippine e con la sua famiglia. "Ho pregato di potermi ricongiungere a loro. Non potevo morire, perché ho quattro bambini dei quali prendermi cura".
Nel bilancio fornito dal premier di Algeri, si dice anche che i 29 terroristi uccisi (altri tre sono stati catturati) erano di Algeria, Egitto, Tunisia, Mali, Mauritania e due del Canada. Uno di questi ultimi, anzi, sarebbe stato il coordinatore sul campo di battaglia del gruppo che ha per leader Mokhtar Belmokhtar. Questi, secondo le prime analisi sull'accaduto, potrebbe aver programmato e deciso l'assalto all'impianto per l'estrazione di gas per reazione alla sua esclusione da parte da l'emiro di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Abdelmalek Droukdel (Abu Musab Abdel Wadoud). L'attacco, allora, andrebbe visto come una dimostrazione di forza: Belmokhtar voleva riuscire a portare a termine un'impresa - la sospensione delle forniture di gas all'Occidente - che il suo ex capo non era riuscito a compiere. Ci sarebbe insomma una lotta interna per la leadership del gruppo terrorista accanto alla dichiarata volontà di colpire gli interessi francesi per l'intervento in Mali e di "punire" l'Algeria per aver permesso agli aerei militari di Parigi il sorvolo del suo territorio.