10/06/2010, 00.00
CINA
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Al via lo sciopero in un terzo stabilimento Honda

Gli operai della Honda Lock incrociano le braccia per ottenere un aumento di stipendio. Intanto la seconda fabbrica vince contro la dirigenza, dopo il successo della prima. Gli analisti: le teorie marxiste sul lavoro vengono totalmente ignorate.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – I lavoratori di un terzo stabilimento della Honda hanno incrociato ieri mattina le braccia: chiedono un aumento di stipendio, subito dopo che gli operai della prima fabbrica hanno ottenuto maggior denaro in busta paga. I dipendenti della Honda Lock di Xiaolan a Zhongshan, nella provincia meridionale del Guangdong, producono principalmente portiere e serrature per le autovetture.

Gli scioperanti sostengono di essere stati picchiati dalla polizia locale, chiamata dalla dirigenza subito dopo l’annuncio del fermo dei lavori. I circa 1.500 dipendenti sembrano essersi fermati tutti insieme: i giornalisti che si sono recati sul posto per indagare sono stati cacciati dalla polizia, e il governo ha censurato le pagine internet che riportavano commenti sull’accaduto.

E’ il terzo sciopero che colpisce nell’ultimo mese uno stabilimento Honda. Il primo si è concluso lo scorso 4 giugno, dopo due settimane di stop dei lavoratori nel settore manifatturiero di Foshan: gli operai hanno ottenuto un aumento di 500 yuan. Il loro successo sembra aver convinto i colleghi della Fengfu a proclamare anche loro uno sciopero, iniziato 4 giorni fa: un portavoce della fabbrica dice che è stato raggiunto un accordo e sostiene che la produzione riprenderà oggi.

Nel frattempo, la Cina si interroga su questo nuovo fenomeno. Anche se sulla carta esiste un sindacato unitario, esso è dominato dal governo, che impedisce la creazione di vere unioni dei lavoratori. Ma questo, sottolineano gli analisti, “non può durare: senza paghe oneste e orari di lavoro sopportabili, la produzione si fermerà”.

Oltre a sottolineare le incongruenze di un governo che propaga le teorie marxiste ma poi le schiaccia sotto un capitalismo sfrenato, docenti e giornalisti chiedono sempre più spesso a Pechino di intervenire per rispondere in maniera positiva alle richieste dei lavoratori. Oramai, dicono, “l’uso della violenza e la repressione della polizia non bastano più”.

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