Accordo sul nucleare di Pyongyang: faticoso, con qualche speranza
Un minimo, buon risultato dopo quasi 3 anni di colloqui e di tensioni.
Seoul (AsiaNews) - "È stato un parto penoso ma finalmente il bambino è nato... Ora si richiede molta cura da parte dei genitori", [Stati Uniti e Corea del Nord] e dei parenti [Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud] per farlo crescere dovutamente": così un analista sudcoreano ha commentato la firma dell'accordo a 6 per la soluzione del problema nucleare nella Corea del Nord, firmato a Pechino lo scorso 19 settembre.
Tutti i delegati della conferenza si sono alzati in piedi e hanno applaudito sorridenti quando il rappresentante cinese, Wu Dawei, ha letto la dichiarazione di un accordo raggiunto dopo 50 giorni di laboriosi colloqui nella Diaoyutai, il palazzo degli ospiti nella capitale cinese. Secondo il primo articolo della dichiarazione la Corea del Nord rinuncia alle armi nucleari e ai programmi per fabbricarle e ritornerà in tempi brevi al trattato di non proliferazione nucleare (NPT: Nuclear Nonproliferation Treaty) sottomettendosi ai controlli dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA).
La foto di sei mani unite è stata subito pubblicata dalle agenzie mediatiche di tutto il mondo e alcuni analisti non si sono trattenuti dal definire "storico" quell'accordo.
Accordo laborioso
Ma ancora la sera precedente le faccie dei delegati erano atteggiate a rassegnazione. Si temeva che anche il IV round dei "colloqui a sei" si sarebbero concluso, come i tre precedenti, con un nulla difatto .Il rappresentante della Corea del Nord, Kim Kye Gwam, e quello degli Stati Uniti, Christopher Hill, non erano riusciti a trovare un compromesso su un punto. Pyongyang richiedeva che fosse riconosciuto il suo diritto a possedere stabilimenti nucleari per per scopi civili. Washington, diffidente dell'astuta politica del rischio calcolato propria dei dirigenti nord-coreani, non intendeva cedere sul principio: "completo smantellamento nucleare prima di ogni altra discussione".
Grazie all'abilità diplomatica cinese e - occorre riconoscerlo - alla flessibilità del governo americano si e' raggiunto il compromesso. "La Corea del Nord (DPRK: Democratic People's Republic of Korea), si legge nel protocollo finale, ritiene di aver diritto di usare energia nucleare a scopi pacifici. Le altri parti hanno espresso rispetto (per questa convinzione) e hanno accettato di discutere, a tempo opportuno, il progetto di offrire alla DPRK un reattore nucleare ad "acqua leggera".
Le clausole dell'accordo a favore della Corea del nord sono sostanziose. Cina, Russia, Corea del sud, Giappone e Stati Uniti le offriranno il materiale energetico (petrolio e elettricità) di cui ha bisogno. Inoltre gli Stati Uniti dichiarano di non avere armi nucleari nella penisola nè di avere intenzione di attaccare o invadere il nord con armi nucleari o convenzionali.
La dichiarazione si chiude con l'impegno da parte dei sei di incontrarsi di nuovo a Beijing in novembre per iniziare il cammino di realizzazione dell'accordo.
Sulla linea di partenza
Wu Dawei valuta la dichiarazione congiunta il risultato più significativo ottenuto in due anni di negoziati. La valutazione non è esagerata se la si considera nella prospettiva della mediazione cinese. Nel 2002 le relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord avevano raggiunto livelli di tensione assai pericolosa a causa del problema nucleare. La possibilità di un conflitto sulla penisola coreana e, conseguentemente, di una destabilizzazione in tutta l'area nord-orientale dell'Asia era tutt'altro che ipotetica. La situazione si è sbloccata grazie alla diplomazia di Beijing che ha proposto la conferenza a sei invitando a parteciparvi, oltre ai due contendenti, anche la Corea del Sud, il Giappone, e la Russia:la Cina ne avrebbe assunto la presidenza. I primi tre round della conferenza, iniziata nel 2003, erano falliti. Grazie alla dichiazione congiunta alla fine del quarto, l'iniziativa cinese non è abortita.
In genere nella Corea del Sud la reazione alla notizia della dichiarazione congiunta è stata di ottimismo e prudenza nello stesso tempo. Secondo lo stimato quotidiano Joongang "l'accordo è più di una dichiarazione di principi, ma molto meno di un programma concreto".
Il professor Jung Bong-geum dell'Istituto per la sicurezza in Seoul, nell'intento di rispondere allo scetticismo dominante all'estero, ha detto: "Possiamo fidarci dei dirigenti nord-coreani? Sappiamo che nel passato non hanno mantenuto la parola data nei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti e la Corea del sud. Questa volta, però, si tratta di un accordo a "sei" e i garanti hanno molto peso".
Il giudizio espresso dal delegato americano Christopher Hill sia il più prudente. "E' un buon accordo, ha detto. Ma staremo a vedere cosa capiterà nei prossimi giorni o settimane".
Futuro incerto
Purtroppo per il rinascere dell'ansia è stato sufficiente un giorno solo. Il 20 settembre il portavoce del ministero degli esteri di Pyongyang ha detto che la Corea del nord rinuncerà ai programmi nucleari solo dopo che gli Stati Uniti gli avranno costruito il reattore nucleare ad acqua leggera.
Immediatamente Condoleeza Rice, segretario di stato americano, ha denunciato la lettura opportunistica del protocollo firmato dai "sei". Ma per il professor Daniel Pinkston, direttore del centro studi sulla proliferazione nucleare a Seoul, quella dichiarazione del ministero degli esteri nord-coreano, è pura espressione di vanità: Pyongyang non può sopportare di essere inferiore, nella tecnica, alle nazioni vicine, soprattutto Corea del sud, Giappone e Cina.