16/02/2009, 00.00
INDIA
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Aborto oltre le 20 settimane: avanza la “cultura di morte”

Ad agosto l’opinione pubblica ha molto discusso il caso della donna che voleva abortire il figlio di 24 settimane per presunti problemi medici. Ora c’è una petizione al governo per legalizzare tale aborto, per ora proibito dopo le 20 settimane.

New Delhi (AsiaNews) – La Corte Suprema ha ammesso il 13 febbraio la petizione dei coniugi Niketa e Haresh Mehta (nella foto) e del loro ginecologo dottor Nikhil D. Datar che chiedono sia consentito abortire anche dopo le 20 settimane di gravidanza, se il feto presenta anormalità.

Lo scorso agosto la coppia ha chiesto all’Alta Corte di Mumbai di poter abortire il loro primo figlio, alla 24ma settimana di gravidanza, perché il medico gli ha riscontrato problemi cardiaci e ha diagnosticato il rischio di dover avere un peacemaker dopo la nascita. Il 4 agosto 2008 l’Alta Corte ha respinto la richiesta, perché gli esperti medici non hanno espresso “un’opinione certa che dopo la nascita il bambino soffrirebbe di serie menomazioni”. La Corte ha precisato che non avrebbe permesso l’aborto anche se anteriore alle 20 settimane, perché l’opinione medica era contraria. Poco tempo dopo la donna ha avuto un aborto spontaneo.

In quasi tutta l’India una legge del 1971 consente l’aborto dopo le 20 settimane solo se c’è pericolo di vita per la madre. La legge vuole impedire i diffusi feticidi di femmine.

Mons. Agnelo Gracias, vescovo ausiliare di Mumbai e Presidente della Commissione per la Famiglia della Conferenza episcopale cattolica indiana, aveva chiesto pubblicamente alla coppia di non abortire il figlio, dicendo loro che anche se fosse stato invalido e non avessero voluto tenerlo, sarebbe stato accolto dalle suore di Madre Teresa o da una coppia adottiva.

Ad AsiaNews osserva che “ogni azione contro la vita  umana, specie contro la vita non ancora nata, ha conseguenze negative per l’intera società. Indebolisce la nostra attenzione alla vita umana. Oggi abbiamo di fronte una cultura di morte, alla quale dobbiamo opporci”.

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