A processo tre scrittori tibetani, per avere parlato delle proteste del 2008
Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) - Tre noti scrittori tibetani, detenuti da mesi, sono stati processati il 28 ottobre dal Tribunale di Aba (Ngaba in tibetano, nel Sichuan) per “attività che istigano a dividere la Nazione”. Prosegue inesorabile la persecuzione delle autorità cinesi contro l’identità e la lingua tibetana.
Jangtse Donkho, Buddha e Kalsang Jinpa sono stati arrestati a giugno e a luglio per gli articoli da loro scritti sul giornale locale in lingua tibetana Shar Dungri (Montagna innevata orientale) sulle proteste tibetane del 2008.
Fonti locali riferiscono all’agenzia Radio Free Asia che il processo è durato circa mezza giornata. I tre accusati si sono proclamati innocenti. Buddha ha parlato in un fluente cinese dicendo che articoli simili a quelli oggetto dell’accusa sono stati pubblicati anche da giornali cinesi Han, per cui una loro condanna rappresenterebbe “una ineguaglianza tra differenti nazionalità benché cittadini dello stesso Paese”.
Gli altri accusati hanno parlato in tibetano, ma i familiari lamentano che l’interprete ha tradotto le loro parole male e in modo infedele. Ancora non si conosce il verdetto.
Ai detenuti, ammanettati, è stato permesso di salutare i familiari, presenti al processo, per pochi minuti sotto la sorveglianza della polizia. Una fonte racconta che Buddha ha raccomandato alla moglie di curare che il figlio di due anni impari bene la lingua tibetana.
Negli ultimi mesi le autorità cinesi hanno arrestato numerosi artisti, scrittori, cantanti tibetani, ma anche professori, affermando in pratica che il loro coltivare l’identità e la cultura e i diritti civili dei tibetani sia tra le cause delle proteste della regione, secondo quanto denuncia il gruppo Campagna Internazionale per il Tibet. Oltre 60 anni di dominazione cinese in Tibet non hanno fiaccato l’identità e il desiderio di libertà dei tibetani.
Ben Cardus, dirigente di Cit, spiega che “nonostante conoscano bene i rischi, [i tibetani] ancora osano pubblicare le loro opinioni e scambiarle tra loro, circa la situazione in Tibet”.
In precedenza le autorità cinesi hanno concentrato l’attenzione anche sui monasteri, arrestando numerosi monaci e suore e sottoponendone parecchi a periodi di stretta sorveglianza.
L’ultima iniziativa di Pechino è il tentativo di togliere il tibetano come lingua d’insegnamento in molte scuole tibetane, per sostituirlo con il mandarino cinese. Cosa che ha suscitato vibranti ma pacifiche proteste di piazza di migliaia di studenti.