03/04/2007, 00.00
THAILANDIA
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A lezione di conversione dai bambini abbandonati

Padre Adriano Pelosin, missionario PIME in Thailandia racconta come i piccoli possono far capire ai grandi il vero significato di amare ed essere amati e possono insegnare a relativizzare le esperienze personali.

Bangkok (AsiaNews)  - Capire dai bambini abbandonati cosa vuol dire, concretamente, convertirsi. Che lo si possa fare lo dimostra padre Adriano Pelosin, PIME, da più di 20 anni in Thailandia, raccontando esperienze di giovani ed adulti fra i 200 bambini delle sue case-famiglia. C’è stato un uomo, Giovanni che voleva fare un’esperienza in una baraccopoli. “A Tuek Deng – racconta padre Pelosin - abbiamo una casa famiglia con una dozzina di bambine abbandonate assistite da due signore abbandonate dai loro mariti. ‘La gioia di queste bambine che non hanno nulla mi guarisce da tutte le mie grandi preoccupazioni…  che, mi accorgo, erano basate sul nulla’, mi confessa Giovanni alla fine dell’esperienza”.

E’ una delle vicende narrate da padre Pelosin, in una lettera inviata per Pasqua a chi ha compiuto adozioni a distanza e ai benefattori, insieme con padre Raffaele Manenti, pure del PIME e parroco della parrocchia Nostra Signora della Misericordia. “Gesù – si legge nella lettera - ci insegna che se non diventiamo come bambini non entreremo nel regno dei cieli. Cioè il modo di conversione è quello di semplificare la nostra vita e liberarci dal male e diventare innocenti, inermi, fiduciosi, aperti a essere amati ed amare come i bambini. I bambini abbandonati e orfani che assieme a voi aiutiamo ad avere una vita più normale ci stanno aiutando a convertirci”.

Così è stato per Peter, “il quale ha appena perso la carissima moglie. E il miracolo si ripete. Scrive il signor Peter: ‘vedere che i suoi bambini vivono situazioni molto più difficili con prospettive molto più limitate dalle mie e nello stesso momento esprimono felicità e tanto amore, mi ha emozionato tanto, mi ha anche fatto vergognare di ritenere il mio dolore cosi importante. Il dolore é rimasto, però lo vivo diversamente da prima’”.

La “malattia” è contagiosa: “il padre Anucia, diocesano di Bankok, ha portato sessanta giovani buddisti, musulmani, cattolici e protestanti a fare visita alle case famiglia e passare un po’ di tempo con i bambini (è parte di un programma di dialogo interreligioso). La spontaneità, la gioia e l’innocenza dei bambini ha conquistato subito questi giovani. Le ragazze mussulmane col velo erano le più ‘interessanti’ per cui sono state subito affettuosamente aggredite. I bambini senza pregiudizi religiosi, bisognosi solo di dare amore e ricevere amore hanno fatto dimenticare i pregiudizi ai giovani visitatori. Uscendo dalle case, i bambini quasi non volevano che i giovani se ne andassero e li accompagnavano prendendoli per mano. Non erano i giovani a condurre i bambini, ma i bambini conducevano i giovani e una nuova amicizia si è stabilita tra i giovani, nella quale il rapporto umano prevale sulle differenze religiose”.

“Molto impegno – infine - viene dedicato ai ragazzi più problematici, soprattutto gli adolescenti che sono ancora molto deboli, cedono facilmente alle tentazioni del furto, della violenza, della droga, del sesso e non sono ancora capaci di prendersi responsabilità nella vita. Ma anche da loro arriva un aiuto alla nostra conversione. Il Signor Noi, uno dei nostri primi collaboratori, che dirige la casa famiglia degli adolescenti rifletteva su questo punto: ‘l’esperienza con questi ragazzi mi spinge ad amarli di più, non faccio come i loro maestri di scuola che si arrabbiano, li odiano, li insultano, ma io li correggo, spiegando loro le ragioni per cui non si devono comportare in certo modo deleterio a loro e agli altri, li guardo come Gesù guarda Zaccheo: gli chiede di scendere dall’albero, di essergli amico ed a pranzare assieme’”.

 

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