A Tarso, dove per i cristiani “l’unità nella diversità” è esperienza quotidiana
di Mavi Zambak
Cerimonia ecumenica nella città natale dell’Apostolo delle genti, dove ufficialmente non ci sono cristiani né chiese. L’unica è un museo, dove vengono consentite celebrazioni religiose. Pubblicata la lettera pastorale dei vescovi turchi per il bimillenario di San Paolo, “maestro e fondamento di unità”.
Tarso (AsiaNews) - Da quando papa Benedetto XVI ha indetto l’anno paolino, dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, in occasione del bimillenario della nascita dell’apostolo delle genti, la Conferenza Episcopale della Turchia, formata da sette vescovi – tre di rito latino, due armeni, uno siro cattolico e uno caldeo – si è attivata per studiare un programma di celebrazioni che coinvolgano i luoghi più significativi dove nacque, visse e operò san Paolo.
E ruolo fondamentale in questo anniversario sicuramente spetta a Tarso, città che diede i natali a questo infaticabile annunciatore.
Così, in attesa dell’apertura ufficiale dall’anno paolino, oggi, giorno della conversione di Saulo, si è svolta a Tarso una celebrazione ecumenica cui hanno partecipato il vicario apostolico dell’Anatolia mons. Luigi Padovese, il vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo, il vescovo siro-ortodosso di Adiyaman Melki Urek e il vescovo maronita di Aleppo, Youssef Anis Abi-Aad. Presenti anche pastori e sacerdoti della Chiesa ortodossa.
Evento estremamente importante per le comunità cristiane presenti in Turchia e per il dialogo ecumenico: attorno ai loro vescovi e pastori i cristiani di ogni tradizione e rito, da diverse città del sud della Turchia si sono ritrovati a pregare per l’unità della Chiesa.
Strade fangose d’inverno per la pioggia e polverose d’estate, perennemente sottosopra per risistemarne l’asfalto scadente, carretti di ogni genere tirati a mano, macchine e camion che strombazzano, botteghe e botteghine, gente che urla, per vendere, per comprare, per salutare, numerosi minareti che dominano la città, con i quasi suoi 200mila abitanti, città nell’entroterra della Cukurova (l’antica Cilicia), Tarso si presenta attualmente come un borgo di campagna, conservando la fisionomia del villaggio agricolo turco cresciuto troppo in fretta.
La Tarso odierna sorge proprio nell’area di quella antica: è una delle poche città dell’intera area del Mediterraneo che può vantare un’esistenza interrotta da quasi tremila anni, conservando, oltretutto, anche il medesimo nome.
Della movimentata storia della città sono rimaste solo poche testimonianze: una porta romana, in centro città, detta anche porta di Cleopatra dall’incontro che qui ci sarebbe stato fra Antonio e la regina d’Egitto, un vecchio pozzo tra fondazioni di case romane, e mezze colonne, nell’antico quartiere giudaico della città romana, un affascinante pezzo di strada romana, ottimamente conservato, con resti di colonne, qualche capitello e resti di negozi appena delineati. E’ quanto rimane dell’antica città che, come si vantò san Paolo di fronte al proconsole romano era “una città non certo senza importanza”.
La vicinanza di due grandi centri come Mersin e Adana, l’ha relegata a un ruolo marginale sia economicamente che culturalmente.
Ufficialmente ora a Tarso, interamente musulmana, non ci sono né chiese né cristiani. Nel 1884 era stata aperta una chiesa, da parte di un intraprendente cappuccino italiano, che era stato Prefetto Apostolico in Siria, p. Giuseppe da Genova, ma, a cavallo tra le due guerre mondiali, fu chiusa per mancanza di personale e di cristiani.
Attualmente l’unica presenza cristiana dichiarata è quella di tre suore italiane, Figlie della Chiesa, che custodiscono l’Eucarestia in un appartamentino preso in affitto e rendono così presente la Chiesa. Segno di speranza in questa città dove il cristianesimo è nascosto e vive mimetizzato nelle coscienze.
Per il culto dei pellegrini che arrivano a sciami, le autorità locali hanno dato anni addietro la possibilità di celebrare in una chiesa museo, da poco restaurata e aperta al pubblico.
Tra il prestigioso Collegio americano (per i figli dei marines stanziati presso la base americana non lontana), un antico hamam e un parcheggio incustodito di auto - dopo spesso si vedono ragazzi e anziani rovistare tra i rifiuti – si trova questa vecchia chiesa (nella foto) armena (poi bizantina, ma forse ancor prima una chiesa romana crociata), utilizzata per anni come magazzino militare.
Così quasi per miracolo, per un giorno il quartiere si è ripopolato di cristiani. Non è stata una folla oceanica, ma la partecipazione è stata sentita: la comunione della preghiera, gli incontri fra diverse comunità, i sorrisi e i gesti reciproci di amicizia fra i leader e fra i fedeli testimoniano una fraternità non formale. Ormai si conoscono ed è un appuntamento atteso, desiderato, soprattutto dai giovani che, provenendo da città distanti tra loro, ne approfittano per rivedersi, scambiarsi opinioni e aggiornarsi. Per loro le differenze teologiche non hanno senso.
Certo, quest’anno la celebrazione ha avuto un’impronta più internazionale, ma questo stare insieme non è evento eccezionale e sporadico, bensì, per i cristiani del sud della Turchia, ordinarietà. “L’unità nella diversità” è un principio che si realizza quotidianamente fra i cristiani in Anatolia. L’ecumenismo è di casa. Le stesse famiglie cristiane, al loro interno, presentano una varietà di sfumature e di incroci difficili da capire per un occidentale: le chiese orientali, cattoliche e ortodosse, ci sono tutte, immerse e mescolate nella maggioranza musulmana. Greco ortodossi, siriaci, caldei, latini, armeni, maroniti e melchiti abitano le stesse case, gli stessi quartieri, esercitano gli stessi lavori, condividono gli stessi problemi, frequentano la stessa chiesa, dove c’è, si confrontano con la medesima comunità e il medesimo sacerdote.
In passato la diversità era giustificata dal fatto di avere effettivamente culture diverse vive, ma ora riconoscendosi tutti cristiani turchi, le differenze sono comprensibili solo per gli addetti ai lavori.
Così, ciò che altrove divide, qui unisce.
E anche il 25 gennaio si sono ritrovati a Tarso insieme, a pregare affinché la conversione e la vita di Paolo, sia di esempio e di sprono per la loro vita.
Come ha ben ricordato il vescovo dell’Anatolia mons. Luigi Padovese rendendo nota la Lettera pastorale che i vescovi cattolici in Turchia hanno preparato per l’anno paolino: “Il bimillenario della nascita di san Paolo riguarda tutte le comunità cristiane, dal momento che Paolo è maestro per tutti discepoli di Cristo, ma riguarda particolarmente noi viventi in Turchia, l’apostolo delle genti è figlio di questa terra ed è in essa che egli ha svolto prevalentemente il suo ministero. Fu qui che percorse in meno di trent’anni la più parte delle diecimila miglia dei suoi viaggi. Soprattutto qui sperimentò ostilità, pericoli mortali, carcere, battiture, privazioni di ogni genere, pur di annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo. Noi vescovi pensiamo che dalla miniera delle sue lettere alcuni elementi possano essere particolarmente utili alle nostre comunità che vivono in una situazione di minoranza religiosa Siamo immersi in un mondo musulmano dove la fede in Dio è ancora ben presente sia nei suoi aspetto tradizionali che nell’affermarsi di nuove organizzazioni religiose islamiche. Proprio questa situazione per alcuni aspetti simile a quella delle prime comunità viventi in diaspora, ci impone una più chiara coscienza della nostra identità. E se nell’incontro con il mondo non cristiano l’apostolo ci è maestro nei rapporti tra comunità cristiane differenti egli è maestro e fondamento di unità. La fede dell’apostolo nel Cristo risorto, la sua speranza contro ogni speranza umana, la sua carità nel farsi tutto a tutti siano la misura del nostro essere cristiani in questa amata terra di Turchia”.
Accanto a questo primo incontro ecumenico sono stati presentati altri eventi che si svolgeranno durante l’anno. Il 22 giugno ci sarà la celebrazione di apertura nella stessa chiesa museo di Tarso a cui parteciperà il cardinal Walter Kasher, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Dopo l’apertura solenne verrà dato inizio ad un Simposio sull’apostolo Paolo, a Tarso e Iskenderun (dal 22 al 24 giugno). E’ in programma anche un pellegrinaggio nazionale sui passi di s. Paolo a Tarso-Antiochia ed Efeso. Altre iniziative, assieme ai fratelli ortodossi e protestanti saranno presentate nei prossimi mesi.
Il governo turco ha dato la sua disponibilità a venire incontro all’esigenze previste per la realizzazione di queste celebrazioni, come il mettere a disposizione servizi utili a pellegrini e turisti provenienti dalla Turchia e dall’estero, quali punti ristoro, centri informativi, luoghi di riunione e davvero sarà una preziosa occasione e un banco di prova per la democrazia, il rispetto e il dialogo tra il mondo islamico e la minoranza cristiana in questa terra di Turchia.
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