A Kirkuk una fede “radicata”, che non si arrende alla guerra
Kirkuk (AsiaNews) - Hanno studiato tre anni teologia mentre in città i kamikaze uccidevano civili, mentre in molti tra i loro connazionali sceglievano di lasciare il Paese, scosso da quotidiane violenze settarie e persecuzioni. Sono una ventina di studenti cristiani, di varie chiese, che lo scorso 8 marzo hanno ricevuto la licenza in teologia nell’aula grande, limitrofa alla cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Kirkuk, nel nord dell’Iraq. A presiedere alla cerimonia è stato l’arcivescovo caldeo della città, mons. Louis Sako; insieme a lui anche i capi delle chiese cristiane di Kirkuk.
Gli studenti sono i primi a terminare il corso triennale di teologia, promosso dall’arcidiocesi dal 2003 e aperto a tutti i cristiani in un clima di vero ecumenismo. Quest’anno il primo anno è frequentato già da 28 persone. Il corso di teologia si tiene ogni venerdì su vari temi: le Sacre Scritture, dogmatica, morale, filosofia e spiritualità. “Un’iniziativa che darà i suoi frutti alla Chiesa locale e a quella di tutto l’Iraq”, commentano alcuni caldei locali.
Durante la cerimonia il gruppo ha portato il titolo della “Chiesa rossa” - luogo caro ai fedeli caldei di Kirkuk, nel cimitero cittadino - e lo ha passato ai nuovi studenti. Padre Janan Shamil, dell’arcidiocesi, spiega che il gesto “simboleggia la fedeltà e la continuità di questi cristiani con i primi padri della Chiesa”. E aggiunge: “Questa giornata ci dimostra che nonostante la condizione di totale assenza di sicurezza e il dramma dell’emigrazione che colpisce il Paese, ancora c’è speranza, perché la fede è ben radicata”. “Con la stessa fede - continua il sacerdote - gli studenti del corso di teologia cercano sempre di trasmettere ai nuovi allievi l’eredità dei padri della Chiesa”. La consegna alle nuove classi di teologia del catechismo e della bandiera vaticana sono invece “il segno di fedeltà e unione della Chiesa locale con quella universale”.
Lo spirito e la missione ecumenica che animano questa iniziativa diocesana sono ancora più importanti se si tiene conto del “preoccupante fenomeno – come lo ha definito lo stesso mons. Sako – dell’aggressivo proselitismo condotto da alcune comunità evangeliche in Iraq”.