A Erdogan non dispiacerebbe un ricorso del Patriarcato ecumenico alla Corte europea
di NAT da Polis
La mossa del Patriarca, della quale si parla, mira al riconoscimento del diritto di riaprire la scuola teologica, battaglia fondamentale per la libertà religiosa. Per l’attuale governo una sentenza di Strasburgo sarebbe utile a scardinare la resistenza dell’establisment burocratico a ogni progetto riformista
Istanbul (AsiaNews) - Ricorrere alla Corte internazionale di Strasburgo. E’ l’idea che, secondo fonti diplomatiche di Bruxelles sta maturando nella sede del Patriarcato ecumenico per ottenere la riapertura della Scuola teologica di Chalki (nella foto).
L’idea, secondo le stesse fonti, ha trovato riscontro favorevole all’interno dell’Unione, viste le difficoltà e la mancanza di volontà del governo Erdogan di procedere alla riapertura della scuola. Perché, si commenta negli ambienti comunitari, finchè persiste il continuo e strisciante scontro tra il vecchio establishment e l’attuale governo contro ogni tentativo riformista di Erdogan, non si vedrà alcuna soluzione del problema del riconoscimento dei diritti delle minoranze cristiane in Turchia, dei quali la riapertura di Chalki è un punto molto significativo.
Il ricorso, in sé, non costituirebbe niente di nuovo, visto che lo stesso patriarca Bartolomeo ha espresso piu volte ipetuto l’intenzione di fare ricorso ai fori internazionali per rivendicare i propri diritti calpestati da decenni.
Quello che sorprende, a quanto sostengono a Bruxelles, è che tale iniziativa godrebbe del favore di alcuni settori della burocrazia turca vicina al progetto riformista di Erdogan. Perché ritengono che le sentenze di Strasburgo - che per principio sono vincolanti - sono l’unico mezzo per scardinare il vecchio establishment, che ostacola ogni riforma. Le sentenze, insomma, aiuterebbero Erdogan nel suo approccio riformista all’apparato burocratico turco, che si ritiene l’erede della concezione cosiddetta laica, e del quale la magistratura, fino alla Corte suprema, costituiscono l’ultimo baluardo dopo che l’esercito è stato messo - per il momento - alle corde dalloscoppio dell’affare Ergenekon (la Gladio turca) .
Significative e chiarificanti le dichiarazioni fatte in proposito da Cilek, vicecapo del partito del governo AKP. Figura assai autorevole, Cilek in un recente incontro con gli studenti ha fatto una emblematica radiografia dello stato kemalista La Turchia contemporanea, ha detto, è stata fondata (e i fondatori erano in maggioranza esuli provenienti dai Balcani, mentre gli attuali riformartori esprimono piuttosto l’anima asiatica) come una repubblica parlamentare. Ma senza democrazia, in quanto è stato creato un apparato burocratico “laico” e autoritario, che oramai è superato e anacronistico, impegnato a impedire qualsiasi evoluzione della società turca e sempre sotto l’occhio vigile dell esercito. (Occorre ricordare che in Turchia prima del 1946 era vietata la migrazione dei contadini dell’Anatolia verso Ankara ed Istanbul, per non contaminare gli usi occidentali dell’elite burocratica). Insomma, per Cilak, una burocrazia tesa a proteggere lo Stato dai desidiri della popolazione .Uno Stato, cosiddetto laico, che non ha accolto il principio della libertà religiosa per le sue minoranze non si può fare paladino dei diritti dei mussulmani in Europa. In un Europa, ha cocluso, dove esistono 4mila moschee e vari centri di cultura mussulmana.
Lo stesso Erdogan rispondendo tempo fa al capo dello stato maggiore dell’esercito, che voleva esprimergli il rammarico dei militari per gli ultimi avvenimenti, non ha mancato di ricordare ironicamnte che anche la popolazione turca è stata afflitta per decenni, ma non ha mai potuto esprimere il suo rammarico.
Non sembra, infine, un caso che la scelta del nuovo ambasciatore turco presso la Santa Sede è stata fatta al di fuori della carriera diplomatica, altra roccaforte del vecchio establishment, e che il diplomatico prima della sua partenza per Roma ha fatto visita di cortesia al Patriarca ecumenico. Per la prima volta.
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