A 40 anni dalla guerra, tornano i boat-people vietnamiti in fuga da regime e povertà
Hanoi (AsiaNews/Agenzie) - A quasi 40 anni dall'esodo di centinaia di migliaia di boat-people vietnamiti in fuga dalla "unificazione" del Paese, dopo la guerra con gli Stati Uniti, costretti ad affrontare il mare aperto con mezzi di fortuna, centinaia di cittadini hanno ripreso la acque per lasciarsi alle spalle il regime comunista. Un fenomeno che, nel recente periodo, ha assunto dimensioni preoccupanti soprattutto per l'Australia, principale mèta di questa emigrazione di fortuna. Secondo i dati, solo nei primi mesi del 2013 almeno 460 fra uomini, donne e bambini hanno raggiunto le sue coste, un numero superiore alla somma registrata negli ultimi cinque anni. Alla base del nuovo esodo, il progressivo peggioramento dei diritti umani nel Paese di origine e le difficoltà attraversate dall'economia locale, incapace di garantire un livello di sostentamento medio accettabile.
Molti vietnamiti che hanno raggiunto nelle ultime settimane le coste australiane sono detenuti in regime di isolamento; Canberra rifiuta di fornire dettagli sulla loro religione e sulla cittadina vietnamita di origine. In molti affermano di preferire la morte, piuttosto che "tornare a forza in Vietnam". Uno dei profughi aggiunge che "se uno vive una vista di miseria, costretto a subire repressione e minacce delle autorità, allora è costretto a fuggire".
I boat-people affrontano un viaggio lungo e pericoloso, che per alcuni passa attraverso l'Indonesia prima di raggiungere la mèta finale. Tuttavia, in molti casi l'Australia non è disposta ad accoglierli e la continua crescita - registrata negli ultimi periodi - sta alimentando una campagna politica anti-immigrazione e nazionalista.
Di contro, per Hanoi la questione profughi è un problema scottante perché la loro fuga (fra mille pericoli e difficoltà) mette in crisi la propaganda del regime comunista secondo cui la qualità di vita nel Paese è buona. E ricorda inoltre il periodo della guerra col Sud e gli Stati Uniti, ferita ancora non del tutto rimarginata. La definizione boat-people richiama infatti nell'immaginario collettivo il viaggio per mare, a bordo di mezzi di fortuna, di almeno 800mila vietnamiti; a più riprese, dalla seconda metà degli anni '70, essi hanno lasciato il Paese per sfuggire a persecuzioni e abusi trovando riparo soprattutto negli Stati Uniti, in Canada e in Australia.
Il Vietnam è ancora oggi una nazione dominata dal partito unico (comunista), che spedisce in carcere attivisti, blogger e persino fedeli - in particolare cattolici - per critiche o manifestazioni di dissenso in rete e sulle piazze. Alcuni dei profughi in fuga nell'ultimo periodo, sono fedeli che hanno condotto a lungo proteste ad Hanoi contro gli espropri forzati di terreni e proprietà della Chiesa. Oppure attivisti, finiti nel mirino delle autorità per la difesa della proprietà o dei beni in cui ancora oggi il partito e le varie sezioni locali sul territorio dettano legge. Ma il lungo viaggio verso le coste dell'Australia in pochi casi consente di soddisfare le aspettative: dei 101 vietnamiti giunti nel 2011, pare che nessuno abbia ottenuto il diritto di asilo e almeno sei sono stati rispediti in patria; per gli altri, il limbo della clandestinità.