A 17 anni dal massacro di Tiananmen: garantire i diritti agli operai
Il fondatore del primo sindacato autonomo in Cina, ricordando il movimento di studenti e operai soppresso con violenza, fa un paragone fra il sindacato polacco di Solidarnosc e la necessità che anche in Cina cresca un sindacato libero. La situazione degli operai cinesi oggi è peggiore di quella di 17 anni fa.
Hong Kong (AsiaNews/Clb) In un discorso ai leader del Partito comunista cinese (Pcc) del 25 aprile '89, Deng Xiaoping chiedeva al governo di soffocare in fretta ogni piccolo segno di insorgente movimento democratico. I leader del Partito "dovrebbero imparare dall'esperienza del sindacato polacco di Solidarnosc diceva e non devono avere nessuna cautela" nel trattare con il movimento democratico cinese.
Il 4 giugno 1989 il governo lancia la sua sanguinosa repressione contro il movimento di studenti e lavoratori. In piazza Tiananmen ero presente con la Federazione autonoma degli operai di Pechino (Beijing Workers' Autonomous Federation, Bwaf) ed ero il loro portavoce. La repressione si è attuata seguendo con precisione lo spirito e le parole di Deng.
È passato ormai un quarto di secolo da quando Lech Walesa e i suoi colleghi dei cantieri navali issarono per la prima volta lo striscione di Soldarnosc. Ma i leader cinesi continuano ad aver paura del suo spettro e temono che in Cina possa nascere un movimento simile, per sfidare lo scettro del partito. Con ogni probabilità questa è forse la ragione principale che spinge Pechino a proibire ancora adesso la fondazione di sindacati autonomi in Cina.
Commemorando quest'anno l'anniversario del movimento democratico e del Bwaf, dobbiamo ricordare che le condizioni degli operai cinesi oggi sono in molti aspetti peggiori rispetto a 17 anni fa. È anche importante un paragone pratico fra la situazione che era di fronte alla Solidarnosc polacca allora e quella di fronte al movimento operaio cinese di oggi.
Tale analisi rende evidente che i profondi timori della leadership cinese verso le crescenti sommosse sindacali in Cina, sono fondamentalmente fuori luogo. Piuttosto che ricorrere a ulteriori campagne repressive, essa dovrebbe affrontarle in un modo più liberale e più illuminato; ciò le permetterebbe di sgonfiare e risolvere la "minaccia alla stabilità sociale" che sembra affacciarsi in molte aree delle relazioni industriali nel paese.
Anzitutto, la situazione sociale della Cina di oggi è molto differente da quella della Polonia degli anni '80. Allora la Polonia era sotto un'economia statale a pianificazione centrale. Non c'era conflitto fra imprenditori capitalisti e lavoratori perché là il capitalismo non esisteva. Ogni volta che sorgevano conflitti fra le compagnie statali e la forza lavoro, gli amministratori non avevano né potere, né autorità di andare incontro alle richieste ragionevoli dei lavoratori, quali il salario e le condizioni di lavoro.
Ogni forma di militanza operaia tendeva perciò a divenire uno scontro con i reali padroni delle imprese, di solito i governi locali. In tal modo, proteste operaie di tutti i tipi si sviluppavano verso una sola direzione: la lotta politica e, alla fine come nel caso di Solidarnosc in una diretta sfida all'autorità del governo.
La situazione oggi in Cina è totalmente diversa. Non vi è alcuna ragione per cui le lotte operaie devono divenire sfide politiche o scontri. Dopo 20 ani di riforme economiche, sono nate innumerevoli imprese private, ad investimento straniero e come joint-venture. Perfino nelle imprese statali gli amministratori hanno il potere di controllare i profitti della compagnia, fissare salari e premi per i propri operai, assumere e licenziare a proprio piacimento. In tutte queste aree gli imprenditori privati hanno ancora più potere. Con il divieto di ogni rappresentanza sindacale, gli stessi operai non hanno quasi alcun potere per negoziare e così i profitti vanno nella quasi totalità a proprietari e amministratori. A causa di ciò, il conflitto fra i proprietari delle aziende e i loro impiegati diviene sempre più acuto e di giorno in giorno cresce di intensità.
Ma a differenza della Polonia di 25 anni fa, il governo cinese di oggi può scegliere se interporsi o no fra i proprietari delle imprese private, avidi di profitti, e la sempre più insoddisfatta forza lavoro militante. Più precisamente: il governo può scegliere se prendere a cuore le povere condizioni di lavoro e gli abusi ai diritti degli operai, che sono alla base degli scontri.
Per questa ragione, la natura del movimento operaio della Cina di oggi è diversa da quella della Solidarnosc polacca. La critica del movimento operaio cinese è diretto verso proprietari e amministratori, a differenza di Solidarnosc, le cui critiche erano rivolte al governo.
Le richieste che si levano dalle proteste degli operai cinesi sono limitate ai basilari diritti sociali ed economici. Vale a dire: il movimento sindacale nella Cina di oggi non ha scopi politici. Esso affronta i conflitti sociali e non incita verso un movimento politico.
In più, la coscienza collettiva nella lotta degli operai cinesi di oggi è diversa da quella di Solidarnosc. Molti operai cinesi conservano ancora un livello alto di fiducia e di speranza nel governo. Essi credono che non appena il governo centrale diverrà cosciente delle disuguaglianze e delle sofferenze che essi sopportano, verrà subito in loro aiuto. Date queste condizioni sociali, ogni sindacato indipendente che nasce, sarà per forza diverso da Solidarnosc, un movimento fortemente politicizzato.
La fondamentale differenza fra il sistema economico della Polonia di allora e della Cina di oggi, offre a Pechino un'occasione d'oro per porsi come un mediatore neutrale nei conflitti fra sindacati e amministratori. Il governo non ha bisogno di sentirsi braccato dallo "spirito" di Solidarnosc.
Pechino dovrebbe cambiare il modo in cui si risolvono i conflitti nella nostra società, cambiando il ruolo che esso gioca in tali conflitti, e cioè essere al servizio della parte imprenditoriale. Cambiando il suo ruolo, esso potrebbe divenire l'agente che stabilisce le regole delle negoziazioni. In più, tutto ciò renderebbe capace il movimento sindacale e ogni sindacato indipendente di unirsi insieme in modo legale. In questo modo [il movimento sindacale] potrebbe divenire uno strumento per istituzionalizzare e armonizzare il conflitto fra impiegati e proprietari. Ciò porterebbe a una vera modernizzazione del governo pubblico in Cina. Se invece Pechino continua a massacrare i movimenti operai e i sindacati, servendo gli interessi dei proprietari, dovrà allora affrontare un sempre maggiore scontento operaio. Solo in tal caso, vedendosi negati i diritti e i mezzi istituzionali per negoziare con i loro padroni in modo equo, gli operai indirizzeranno la loro ira verso il governo. In questo modo, la paura di Pechino per l'accadere di una situazione "tipo" Solidarnosc si avvererebbe da sé.
Han Dongfang è direttore del China Labour Bulletin, uno strumento per i diritti sin dacali in Cina, con base ad Hong Kong. Il suo sito è www.clb.org.hk .