Libano: tensione (e morti) con Israele nel sud. Fragile tregua non porta pace
Un tentativo di rientro nei villaggi vicino al confine ancora occupati ha provocato 26 morti e oltre 160 feriti. Nuova scadenza al 18 febbraio alle truppe dello Stato ebraico perché lascino il Paese. Gli incidenti rilanciano Hezbollah che insiste sulla legittimità della “resistenza” verso Israele, che deve restare armata. Inviato Usa Morgan Ortagus, che succede ad Hochstein, atteso nei prossimi giorni.
Beirut (AsiaNews) - “Mio figlio è ancora lì. Il suo corpo giace a terra da tre mesi, fatemi passare”. “È vostro figlio ed è anche mio fratello. Cerchi di capire, è solo nel vostro interesse che vi teniamo lontani”. Questo scambio di battute tra una donna del sud che, come molti abitanti, cercava di dirigersi verso il suo villaggio in rovina, ancora occupato da Israele, e un soldato libanese che, con i suoi commilitoni, formava una barriera umana per impedirglielo, riassume la situazione drammatica e ambigua in cui Hezbollah ha gettato la popolazione del sud e l’esercito lo scorso fine settimana. Le truppe hanno fatto del loro meglio per evitare che la popolazione espulsa dai villaggi a ottobre in seguito all’ordine di evacuazione israeliano subisse ulteriori perdite. Tuttavia, nonostante tutte le precauzioni prese, questo rientro disordinato nella parte del Libano meridionale ancora occupata da Israele ha provocato in due giorni 26 morti e quasi 160 feriti, tra cui un padre e una madre di famiglia, un capo scout e un militare.
Questa mossa disordinata è stata fatta su pressione del Partito di Dio filo-iraniano. Il pretesto addotto era che il periodo di 60 giorni previsto dall’accordo di cessate il fuoco del 27 novembre 2024 era scaduto. “Non accetteremo che questa scadenza venga prorogata nemmeno per un secondo” aveva dichiarato il segretario generale di Hezbollah Naïm Qassem. Tuttavia, già nei giorni precedenti, e indipendentemente da qualsiasi coordinamento con la commissione incaricata di supervisionare il cessate il fuoco, Israele aveva dichiarato che il suo esercito non si sarebbe ritirato da alcuni villaggi del settore orientale, avvertendo al contempo la popolazione di non avvicinarsi alle sue posizioni. Mancando reazioni ufficiali del neo-presidente della Repubblica Joseph Aoun o del primo ministro ad interim Nagib Mikati in merito alla modifica unilaterale dello Stato ebraico, il movimento sciita libanese si è permesso di ignorare l’avvertimento di Israele. E incurante della sicurezza popolare e dell’immagine pubblica dell’esercito, si è creato un movimento popolare che ha forzato i tempi e i modi di un ritorno, in contrasto con l’opinione pubblica.
Gli abitanti hanno sfidato pacificamente l’esercito israeliano e la sua decisione, con il risultato che conosciamo e ulteriore spargimento di sangue. Molti hanno citato l’attaccamento alla terra e il rispetto per i morti, alcuni dei quali sono ancora sepolti sotto le macerie delle loro case, per giustificare la loro decisione. Il movimento popolare che si è venuto a creare ha determinato un avanzamento, seppur limitato, verso i villaggi occupati con i militari dello Stato ebraico che hanno ceduto qualche centinaio di metri dei territori sotto il loro controllo. Di contro questi piccoli “progressi” e le perdite registrate sono stati sfruttati con abilità a livello politico da Hezbollah, che ha denunciato l’apatia delle autorità di Beirut e, al tempo stesso, ha sottolineato la necessità della “resistenza islamica”.
Tuttavia, inorridito dal bilancio delle vittime del 26 gennaio, la giornata più sanguinosa mai registrata con 24 morti, il governo ha reagito. In accordo con Francia e Stati Uniti, il giorno successivo è stato concesso all’esercito israeliano un periodo aggiuntivo di tolleranza - che scade il 18 febbraio - per evacuare il territorio libanese. Al contempo, la controparte israeliana ha già annunciato di voler mantenere almeno tre alte posizioni in territorio libanese. La questione sarà sollevata con l’inviato statunitense Morgan Ortagus, che succede ad Amos Hochstein, l’architetto del cessate il fuoco del 27 novembre e del nuovo processo di attuazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Al riguardo, la stessa Ortagus è attesa in Libano nei prossimi giorni.
Nei giorni scorsi, per ribadire la propria posizione, convogli di motociclette hanno attraversato alcune arterie dei quartieri cristiani di Beirut, gridando “Sciiti! Sciiti”. Il movimento Amal ha bollato questo gesto come una “pericolosa provocazione” che rischia di alimentare innescare un’escalation della tensione e ha minacciato di espellere dal gruppo i giovani coinvolti.
Al contempo, Israele afferma di aver intercettato il 29 gennaio scorso un drone di sorveglianza di Hezbollah lanciato dal Libano. Ma lo stesso giorno, l’esercito israeliano ha ridotto in fumo e polvere un allevamento di pollame e ha incendiato una villa situata vicino all’incrocio di Markaba (Marjeyoun). Stamane l’esercito (Idf) riferisce di alcuni raid nella notte contro obiettivi del movimento sciita nella valle di Bekaa e lungo il confine siriano-libanese, fra cui una struttura “utilizzata per lo sviluppo di armi sotterranee e un’altra associata al contrabbando di armi in Libano”. Queste distruzioni non sembrano avere altro giustificativo che spopolare la zona di confine e umiliare un popolo profondamente legato alla propria terra. Ci si chiede cosa farà questo Stato quando la popolazione inizierà a ricostruire i suoi villaggi rasi al suolo senza pietà.
Il primo ministro designato, Nawaf Salam, non ha reagito a questi incidenti e ha spostato l’attenzione sulla formazione del nuovo governo, cercando di rassicurare i libanesi sul lavoro in atto per il raggiungimento dell’obiettivo. Difatti, dopo essersi consultato con il capo dello Stato ha tenuto a dichiarare che il nuovo esecutivo vedrà “presto” la luce.
I suoi criteri per questo delicato esercizio includono il non accumulo di funzioni parlamentari e ministeriali, la necessità che il governo non sia “un Parlamento in miniatura” e l’assenza di qualsiasi monopolio comunitario o partitico su un portafoglio ministeriale, dato che il tandem sciita avoca a sé quello delle Finanze. Interpellato da AsiaNews un esperto di politica locale, dietro anonimato, sottolinea che questi sviluppi indicano chiaramente che “Hezbollah sta riprendendo forza e non ha rinunciato alle sue ambizioni”. Inoltre, aggiunge l’analista, è altrettanto evidente che “il cessate il fuoco nel sud del Libano non ha portato la pace”. “Questo dimostra chiaramente - conclude - l’ambiguità delle mezze sconfitte e delle mezze vittorie che la storia lascia irrisolte”.
29/07/2006