Testimoni oculari raccontano le violenze a Lhasa del marzo 2008
Dharamsala (AsiaNews) – “L’ho visto con i miei occhi”. E’ un rapporto di 73 pagine redatto da giornalisti cinesi e basato sulle testimonianze di oltre 200 tibetani, che raccontano le violenze commesse da polizia ed esercito cinese durante le proteste del marzo 2008 a Lhasa e altrove. Violenze e abusi non limitati ai pestaggi dei giorni delle proteste, ma proseguiti anche dopo con arresti arbitrari su larga scala, prevaricazioni e torture sui detenuti.
Urgen Tenzin, direttore esecutivo del Centro tibetano per i diritti umami e la democrazia (Tchrd), spiega ad AsiaNews come il rapporto è la conferma delle violenze subite nel marzo 2008. “Dimostra che i tibetani non fanno propaganda [quando denunciano soprusi e violenze], nel Tibet occupato le autorità cinesi hanno scatenato continue campagne politiche e nuove norme per sottoporre i tibetani a un controllo statale sempre più intenso in materia di diritti umani e libertà fondamentali. Il rapporto ‘L’ho visto con i miei occhi’, scritto da cinesi han e da avvocati, registra la brutalità scatenata contro genere innocente e conferma le notizie già fornite da noi”.
“Di fronte alle proteste pacifiche dei tibetani, le autorità cinesi ricorrono in modo abituale ad arresti arbitrati, carcerazioni e torture, ci sono state repressioni sui monasteri buddisti tibetani e sui conventi di suore e operazioni violente con gravi episodi, per le proteste pacifiche”.
“Anche adesso la popolazione tibetana vive nella paura, proprio adesso a Lhasa ci sono forze armate cinesi in abiti civili che controllano da vicino i movimenti della gente e anche degli stranieri. A Lhasa la situazione è davvero tesa e i giornalisti cui è stato permesso di entrare raccontano la triste situazione che trovano. Tali notizie emergono pure con l’entrata di pochissimi giornalisti, immaginate se in Tibet fosse consentito il libero accesso ai media, emergerebbero l’estensione e la gravità delle misure adottate in modo indiscriminato nella regione”.
“I funzionari cinesi in Tibet sono solo degli esecutori di ordini, che ricevono dai loro superiori. Se il governo cinese non muta la sua politica in favore del rispetto dei diritti umani e della democrazia, queste violazioni proseguiranno e possono anche aumentare. Purtroppo, le misure repressive sono usate non soltanto contro i tibetani, ma anche contro lo stesso popolo cinese”.
“E’ triste che nel 21mo secolo una parte del mondo vive ancora senza rispetto dei diritti umani e nel timore, nell’intimidazione e sotto la repressione dei suoi stessi governanti”.
“La Commissione Onu per i diritti umani dovrebbe prendere una posizione davvero ferma sulle violazioni portate avanti da Pechino nel Tibet e anche in Cina. Le Nazioni Unite non possono rimanere più a lungo spettatrici mute. Devono incalzare il governo cinese affinché consenta a loro l’accesso senza limiti in tutte le zone del Tibet e della Cina, per vedere in prima persona cosa accade quando c’è una protesta e come la situazione è incerta. Ora Pechino colpisce intellettuali, artisti, scrittori e le altre guide dei tibetani”.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)