Terrore a Beirut: sospetti anche su Siria e Israele
Beirut (AsiaNews) - I servizi di sicurezza del Libano sono aperti a tutte le ipotesi, comprese la pista siriana o israeliana, sui responsabili dell'attacco terrorista che ieri ha distrutto una parte del quartiere di Ashrafieh e ucciso otto persone, fra cui anche il capo dell'intelligence nelle forze di sicurezza, gen. Wissam al-Hasan.
Parlando oggi al giornale As-Safir, il capo delle forze di sicurezza, Ashraf Rifi, ha detto che "tutte le opzioni sono aperte, ma stiamo cercando delle prove tangibili". Egli ha ammesso che l'assassinio di al-Hasan può essere legato all'arresto dell'ex ministro Michel Samaha, in stretti legami con Damasco, ma ha anche fatto notare che l'atto terrorista può essere una risposta allo svelamento della rete di spionaggio israeliano presente in Libano, o alla caccia di cellule terroriste nel Paese.
Wissam al-Hasan (v. foto) è la vittima più in vista delle otto persone uccise in seguito a una potente esplosione (60-70kg di esplosivo) in una via adiacente alla piazza Sassine, che ha fatto 78 feriti e danni ingenti agli edifici.
Al-Hasan era ritornato in Libano il giorno prima e nessuno sapeva del suo arrivo. I suoi spostamenti erano sempre preceduti da comunicazioni di depistaggio. Brillante analista, e giovane (47 anni), al-Hasan doveva succedere a Rifi nel 2013. Sapendo di essere nel mirino, prendeva tutte le precauzioni. Per prudenza, sua moglie e i suoi due figli erano stati trasferiti a Parigi.
Il generale aveva al suo attivo lo smantellamento di cellule di spionaggio e terrorismo pro-israeliano, pro-siriano e salafite.
Ieri sera, il druso Walid Joumblatt e il sunnita Saad Hariri hanno subito puntato il dito contro la Siria, come mandante dell'attentato. La popolazione sunnita ha lanciato subito manifestazioni di protesta in diverse città del Libano: Beirut, Saida, la Bekaa, Tripoli, Kamed el-Loz, Biré.
L'assassinio di Wissam al-Hasan rischia di creare un solco ancora più profondo fra le comunità libanesi, già divise fra coloro che appoggiano il presidente siriano Bashar el-Assad e coloro che vorrebbero la sua uscita di scena.
L'autobomba di piazza Sassine (ma l'intelligence non esclude che vi sia stato un kamikaze) sembra confermare i timori che la guerra civile siriana si possa diffondere in Libano e nella regione.
Il massacro di ieri avviene proprio mentre Lahdar Brahimi, inviato dell'Onu per la pace, è a Damasco per tentare di cucire una tregua in occasione della festa di Eid, che comincia il 26 ottobre. Egli ha perfino ottenuto dall'Iran - grande sponsor della Siria - l'accettazione di una possibile caduta di Assad, purché attraverso elezioni.
Dalla comunità internazionale è giunta la condanna unanime dell'attentato che cerca di "destabilizzare il Libano". Dichiarazioni di condanna e cordoglio sono emerse dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, l'Unione europea, Canada, Brasile, Stati Uniti, Francia.
Il Vaticano, attraverso p. Lombardi, direttore della sala stampa, ha condannato "l'assurda violenza assassina" e ha chiesto che essa non sia "un'occasione per accrescere la violenza". Solo un mese fa Benedetto XVI aveva compiuto una visita a Beirut, additando il Libano come modello di convivenza fra religioni ed etnie, importante per il Medio oriente e per il mondo intero.
Il patriarca maronita, Beshara Rai, ha condannato "gli atti criminali che ci ricordano giorni che pensavamo passati". Dal Vaticano, dove partecipa al Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, egli ha esortato tutti i libanesi a rimanere "uniti contro le forze del male che vogliono creare il dissenso fra loro" e a "preservare il Libano come modello di convivenza".
Anche gli Hezbollah - sospettati da molti libanesi come gli autori dell'attentato - hanno condannato il massacro, esprimendo "un grande shock per questo terribile crimine terroristico". La Siria, da parte sua, ha denunciato il massacro come "vile", "ingiustificabile" e "terrorista". L'Iran oggi ha condannato l'esplosione terrorista che "cerca di creare divisioni fra i differenti gruppi libanesi, a scapito degli interessi del Libano". "Senza alcun dubbio - continua la dichiarazione del ministero degli esteri - il nemico principale del popolo libanese è il regime sionista".
Stamane, Marwan Charbel, ministro libanese degli interni, ha rivelato che al-Hasan aveva avuto minacce di morte molto tempo prima che egli rivelasse l'affare Samaha.