04/03/2008, 00.00
CINA
Invia ad un amico

Storie di ordinaria ingiustizia di ditte statali contro i dipendenti

Come gli operai che protestano per i loro diritti sono arrestati, malmenati e, se sono dello Xinjiang, magari accusati di essere pericolosi secessionisti islamici. Un’operaia della ditta leader statale per il petrolio racconta una storia di abusi, favoriti dallo Stato.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Xiao Yishan ha lavorato a una raffineria nello Xinjiang della China National Petroleum Corporation (Cnpc) dal 1984 al 2000, finché la ditta, tra il 1999 e il 2002, ha licenziato oltre 360mila dipendenti. Al noto sindacalista Han Dongfang, direttore del China Labour Bullettin, racconta una lunga lotta per i diritti, senza aiuti e con poche speranze.

Nel 2000, quando era in congedo per maternità, il capo le intima di tornare subito, pena “il licenziamento senza ricevere un centesimo”. Tornata nello Xinjiang, viene forzata a firmare un accordo in cui accetta di rescindere il rapporto e di ricevere 4.500 yuan per ogni anno di lavoro. Nessuno la sa consigliare e circa 20mila colleghi firmano, come lei. Il sindacato unico statale All China Federation of  Trade Unions non li aiuta, né ora né in seguito. Chi non firma è minacciato che non riceverà nulla. Solo dopo saprà che, altrove, la ditta ha pagato 12mila yuan per anno di lavoro.

Nel 2001 circa 6mila dipendenti protestano davanti alla raffineria, per riavere il lavoro o un più equo indennizzo. Ma le autorità arrestano 15 dei loro leader. In seguito la direzione dell’impianto chiede di incontrare i rappresentanti dei lavoratori e poi fa arrestare Chen Faling. E’ rilasciato dopo 30 giorni, quando gli altri lavoratori fanno una petizione al governo dello Xinjiang. Xiao e alcuni colleghi vanno a Pechino per fare una petizione al Consiglio di Stato. Sono ricevuti dai responsabili della Cnpc, ma dopo due ore sono sbattuti fuori e malmenati, messi su un treno e rispediti nello Xinjiang.

Intanto la Cnpc si ingrandisce e assume tra 60 e 80mila nuovi dipendenti, ma nessuno di quelli cacciati.

Nel 2005, un gruppo di ex dipendenti, tra cui Xiao, va di nuovo a Pechino per presentare una petizione. Questa volta i dirigenti della Cnpc promettono di pagare le spese scolastiche e sanitarie per le loro famiglie e anche di dare un lavoro ai loro figli. Ma non hanno ancora fatto nulla.

La Cnpc è ora una ditta leader, ristrutturata nella PetroChina Co Ltd., quotata in borsa a Hong Kong e New York. Circa 4mila lavoratori ancora lottano per ricevere un’equa buonuscita, ma agiscono in modo privato e separato perché temono che se fanno una protesta pubblica possono essere accusati di essere islamici secessionisti.

A Xiao è stato diagnosticato un tumore. Vive con il marito e il figlio di 9 anni, l’unico loro reddito sono i 400 yuan mensili pagati dalla Cnpc e pagano 180 yuan per l’affitto di un appartamento.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Wathupitiwala: lavoratori protestano contro il loro licenziamento
03/12/2021 10:41
Le ditte straniere debbono consentire i sindacati aziendali
29/01/2007
Ditte straniere e Partito alleati contro gli operai cinesi e i sindacati autonomi
04/01/2007
Pechino: la polizia nasconde ogni notizia sui tre che si sono dati fuoco
26/02/2009
In Cina sono in costante aumento le cause di lavoro
20/09/2010


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”