Storia di ordinaria repressione religiosa in Cina
Minacce, violenze fisiche e psicologiche e infine la semplice limitazione della libertà: ecco come il regime di Pechino tratta i cristiani cinesi, nel racconto di una delegata protestante che voleva partecipare al convegno sull’evangelizzazione in Sudafrica.
Pechino (AsiaNews/Caa) – Wang Shuangyan, cristiana protestante, era uno dei 200 delegati che avrebbe dovuto partecipare al 3° Congresso di Losanna sull’Evangelizzazione mondiale, iniziato a Città del capo lo scorso 17 ottobre. La polizia cinese ha proibito la loro partecipazione. Wang è stata bloccata, malmenata, portata con l’inganno in una “prigione domestica”. Riuscita a tornare a casa da pochi giorni, ha deciso di raccontare la repressione religiosa in Cina. Ecco la sua testimonianza.
In questo momento dovrei essere a Città del Capo, in Sudafrica, per partecipare al Terzo Congresso di Losanna sull’Evangelizzazione mondiale. Invece sono a casa a Pechino, per scrivere cosa sono stata costretta a subire negli ultimi giorni. Considero questo momento di scrittura un lusso, considerando che negli ultimi giorni avevo perso la libertà.
Il 29 settembre e poi di nuovo il 12 ottobre - degli agenti di governo mi hanno invitato a fare una camminata con loro. In pratica mi hanno detto che, secondo il governo, la nostra partecipazione a questo Congresso avrebbe messo in pericolo la sicurezza statale e mi hanno invitato a declinare l’invito. Da parte mia ho risposto che, se non c’erano prove a sostegno di questo sospetto, avrei cercato lo stesso di partire: se fossi stata poi bloccata alla dogana, sarei stata costretta a rimanere in Cina.
Originariamente, sarei dovuta partire il 15 ottobre. Durante l’incontro con gli altri delegati, a Pechino, eravamo sorvegliati dalla polizia: in quell’occasione abbiamo deciso di incontrarci il 13 ottobre, la data in cui il primo delegato di Pechino doveva partire per l’Africa. Di conseguenza, mi sono alzata alle nove del mattino del 13 e mi sono avviata verso il terminal 3 dell’aeroporto di Pechino. Davanti alla porta principale c’erano due persone sedute.
Nonostante i loro sforzi per fermarmi, sono scappata e ho raggiunto l’ascensore. Mentre lasciavo l’edificio, altre persone hanno cercato di fermarmi: parlavano fra loro per trovare un modo per bloccarmi. Senza parlare con loro, sono riuscita a uscire: ma a un certo punto, troppo stanca per scappare ancora, ho iniziato a urlare chiedendo aiuto. Sono riuscita ad arrivare alla fermata della metropolitana, dove sono stata bloccata dalle guardie di sicurezza; ho ripreso ad urlare.
In un momento di distrazione, sono riuscita a avvicinarmi alla piattaforma dei treni. I 3 guardiani, sapendo che stavo per scappare, hanno iniziato a usare la forza bruta: mi hanno placcata per non farmi entrare nel treno. In quel momento sono arrivati i miei genitori con il mio bagaglio, come avevamo concordato poco prima, e ho raccontato loro cosa era successo. In un momento di calma, siamo riusciti a salire tutti insieme sulla metropolitana.
Appena saliti, però, qualcuno ha iniziato a urlare “Buttatela fuori”. Le 3 guardie si sono alzate e mi hanno fermato, graffiandomi su braccia e torace. Mia madre li ha implorati: “Per favore non la strattonate; ha problemi di cuore”. Grazie all’intervento dei miei, non sono stata buttata fuori. Quando la metro è finalmente ripartita, i 3 hanno cercato ancora di non farmi partire: noi siamo rimasti seduti fino a che il treno non ha concluso il suo giro, tornando all’aeroporto. I miei genitori, preoccupati, mi hanno accompagnato fino a che non mi sono incontrata con gli altri delegati.
Io ero consapevole dei problemi, e se mi avessero fermata sulla soglia di casa probabilmente non avrei opposto resistenza. Ma agire in quel modo ha scatenato la mia resistenza: non posso immaginare nessuna giovane donna che, aggredita da tanti uomini, non si scatena: è una reazione naturale, istintiva. Tuttavia ho sofferto molto per i miei genitori, che hanno visto la propria figlia trattata in quel modo. Mi chiedo quanti altri genitori potrebbero sopportare una cosa del genere.
Nei 4 giorni successivi, i delegati divisi in sei gruppi hanno cercato di partire in tutti i modi, ma nessuno c’è riuscito: alla dogana sono stati fermati tutti, sempre con la storia che con il nostro viaggio “mettevamo in pericolo la sicurezza dello Stato”. Dopo tutto questo, i delegati di Pechino e quelli di altre parti della Cina hanno deciso di riunirsi in un albergo nella periferia della capitale. Abbiamo pensato di studiare i passaggi della Bibbia che sarebbero stati il fulcro del Congresso.
La mattina del 17 ottobre, gli agenti dell’Ufficio affari religiosi e della protezione interna sono entrati e ci hanno detto che eravamo coinvolti “in un incontro illegale”, non avendo richiesto il permesso per attività religiose. Hanno portato via i 4 pastori che guidavano il nostro gruppo: mentre parlavano, noi abbiamo pregato e cantato gli inni. Al ritorno dei pastori, abbiamo deciso di andarcene di nostra spontanea volontà: ma gli agenti non hanno voluto che tornassimo a casa in taxi. Ci hanno riportato loro, con le macchine della polizia.
In macchina, l’atmosfera è stata tranquilla. Uno dei dirigenti ci ha persino detto che i fatti del 13 ottobre erano avvenuti senza autorizzazione e ha chiesto la nostra comprensione. Sapevo che lui era uno di quelli presenti sulla scena, il 13, ma non ho voluto discutere: gli ho detto che era meglio non parlarne e ho aggiunto che sapevo che anche il suo è un lavoro duro. Tuttavia, la strada presa dalla macchina non era quella di casa nostra.
In serata, ci siamo ritrovati tutti sulle montagne. Anche altri delegati hanno iniziato ad arrivare, tutti con macchine separate. All’arrivo ci hanno confiscato computer e cellulari, e ci hanno intimato di non lasciare il luogo. Eravamo seguiti dovunque e senza il permesso di parlare fra di noi: gli agenti erano persino nelle stanze. La mattina del 18 ottobre mi sono presentata davanti alle guardie e gli ho detto che stavano andando oltre la loro autorità: mi sono chiusa in una stanza e non li ho fatti entrare.
Non ho mangiato, lasciato lo stanza o parlato con nessuno fino a che non sono stata rilasciata, il 19 mattina. Sono arrivata a casa e qui ho pensato che ero fortunata: pensavo di non poter essere libera fino alla fine del Congresso. È successo in questi giorni tutto quello che mi aspettavo: mi hanno sorpreso soltanto le mie reazioni agli eventi. Molte non erano pianificate, ma obbligate dagli eventi. Continuo a chiedermi cosa sarebbe potuto succedere, e cosa potrà ancora accadermi in futuro.
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