Rakhine, oltre 100 morti il bilancio delle violenze fra birmani e Rohingya
Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Gli scontri etnici e confessionali fra maggioranza buddista e minoranza musulmana Rohingya nello Stato di Rakhine, nell'ovest del Myanmar nei pressi del confine col Bangladesh, hanno causato finora "oltre cento morti". È quanto affermano oggi fonti ufficiali birmane, mentre il governo lancia l'allerta: le violenze mettono a repentaglio la reputazione del Paese agli occhi della comunità internazionale, minano il processo di pace e il cammino di democratizzazione. Per questo il presidente Thein Sein avverte: "polizia e autorità riporteranno la pace" e non è affatto escluso che per giungere all'obiettivo i militari possano usare la forza.
Il portavoce dello Stato di Rakhine Win Myaing sottolinea che "sono morte 112 persone", dall'inizio della nuova ondata di violenze nella notte del 21 ottobre scorso. I feriti sarebbero almeno 72, tra cui 10 bambini, e circa 2mila le case bruciate. Le autorità hanno imposto il coprifuoco dal tramonto all'alba e dal 10 giugno vige lo stato di emergenza, con il rischio concreto che la situazione possa precipitare. Fino a ieri il numero delle vittime era di molto inferiore - poche unità secondo i media - a causa del ritardo con cui è stato reso pubblico il bilancio reale e la lentezza delle amministrazioni locali nel riferire degli scontri.
Sulla violenze interconfessionali - contro le quali i musulmani birmani hanno lanciato una campagna di proteste che ha portato alla cancellazione dei festeggiamenti per l'Eid al-Adha, la festa del sacrificio - è intervenuto con un duro comunicato anche il presidente Thein Sein. Egli parla di "persone e organizzazioni" che da "dietro le quinte" stanno "orchestrando gli incidenti" di questi giorni nello Stato di Rakhine. Gli scontri minano l'immagine internazionale del Myanmar, avverte il leader birmano, che aggiunge: "esercito e polizia, in collaborazione con la popolazione locale, riporteranno la pace e la stabilità e prenderanno opportuni provvedimenti contro singoli e organizzazioni che fomentano gli scontri".
A giugno la Corte distrettuale di Kyaukphyu, nello Stato di Rakhine ha condannato a morte tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione a fine maggio di Thida Htwe, giovane buddista Arakanese (Rakhine). QUesta l'origine dei violenti scontri interconfessionali fra musulmani e buddisti (cfr. AsiaNews 19/06/2012 Rakhine, violenze etniche: tre condanne a morte per lo stupro-omicidio della donna). Nei giorni seguenti, una folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10, del tutto estranei al fatto di sangue. La spirale di odio ha causato la morte di altre 29 persone, di cui 16 musulmani e 13 buddisti. Secondo le fonti ufficiali sono andate in fiamme almeno 2600 abitazioni, mentre centinaia i profughi Rohingya hanno cercato rifugio all'estero.
Secondo le stime delle Nazioni Unite in Myanmar vi sono almeno 800mila musulmani Rohingya. Tuttavia, Naypyidaw non li considera parte dei 135 gruppi etnici che costituiscono il Paese e - così come il vicino Bangladesh, con il governo di Dhaka che ha attivato le guardie di frontiera nel timore di nuovi sbarchi di profughi sulla costa - li tratta alla stregua di immigrati clandestini negando loro il diritto di cittadinanza. Attivisti e organizzazioni per i diritti umani parlano di aperto razzismo: molti Rohingya, infatti, parlano un dialetto bengali e assomigliano ai musulmani bangladeshi, con pelle scura e politica di emarginazione.