Qinghai, una folla porta in processione i resti di un monaco auto-immolato
Centinaia di tibetani hanno costretto la polizia a rilasciare i resti di Nyage Sonamdrugyu, un “buddha vivente” che ha scelto il suicidio con il fuoco dopo che il governo gli ha negato il visto per l’India, e li ha portati per le strade di Dari. Nonostante l’opposizione del Dalai Lama, sale a 15 il numero dei suicidi.
Dharamsala (AsiaNews) – Una folla composta da centinaia di tibetani inferociti ha portato questa mattina per le strade della contea di Dari – nella provincia cinese a maggioranza tibetana del Qinghai – i resti di un monaco buddista che si è auto-immolato con il fuoco per protestare contro l’occupazione comunista e il bando del Dalai Lama. Nonostante gli appelli proprio del leader buddista, sale così a 15 il numero di religiosi che hanno scelto di suicidarsi con il fuoco.
Secondo Radio Free Asia, la folla ha costretto la polizia a cedere i resti del monaco 42enne, Nyage Sonamdrugyu noto come Sopa, che sono poi stati portati per le strade della contea. Sopa si è ucciso ieri mattina dopo aver bevuto cherosene, di cui aveva già gli abiti imbevuti: secondo alcuni testimoni, “il suo corpo è esploso dopo che ha avvicinato una fiamma”. Il suo è un caso particolare perché si tratta di un bodhisattva, un “buddha vivente”: monaci considerati rinascite di grandi maestri del passato.
Le autorità cinesi avevano negato il visto al monaco, che voleva recarsi in India per ascoltare gli insegnamenti del Dalai Lama e del Karmapa Lama. Secondo alcuni, questo è il motivo che lo ha spinto ad auto-immolarsi. Inoltre, altri 2 monaci giovani hanno compiuto lo stesso gesto fra il 5 e il 6 gennaio: uno è morto, mentre l’altro è ferito in maniera molto grave. Secondo il governo cinese si tratta di “criminali comuni che appartengono alla cricca del Dalai Lama”.
Il leader buddista ha più volte chiesto ai suoi seguaci in Tibet e nelle province cinesi a maggioranza tibetana di non commettere suicidio: “La vita è il bene più prezioso che abbiamo. Conosciamo bene le sofferenze di queste persone, ma in questi casi serve pazienza”. I monaci che scelgono il suicidio appartenevano quasi tutti al monastero di Kirti, che non ha una grande tradizione storica e il cui abate vive in esilio a Dharamsala.
Anche il lama geshe Gedun Tharchin, che da anni studia i Cinque grandi trattati del buddismo, ha spiegato ad AsiaNews: “Per la nostra religione ogni vita è sacra, e uccidersi è un danno enorme per l’anima. Ma chi vive in Tibet ha fame di libertà, soprattutto religiosa: una fame che sta attraversando tutta la Cina. E il governo è sicuramente molto duro con loro: ho visto i video delle immolazioni apparsi sulla Rete, e non sono riuscito a provare altro che compassione per queste persone”.
Secondo Radio Free Asia, la folla ha costretto la polizia a cedere i resti del monaco 42enne, Nyage Sonamdrugyu noto come Sopa, che sono poi stati portati per le strade della contea. Sopa si è ucciso ieri mattina dopo aver bevuto cherosene, di cui aveva già gli abiti imbevuti: secondo alcuni testimoni, “il suo corpo è esploso dopo che ha avvicinato una fiamma”. Il suo è un caso particolare perché si tratta di un bodhisattva, un “buddha vivente”: monaci considerati rinascite di grandi maestri del passato.
Le autorità cinesi avevano negato il visto al monaco, che voleva recarsi in India per ascoltare gli insegnamenti del Dalai Lama e del Karmapa Lama. Secondo alcuni, questo è il motivo che lo ha spinto ad auto-immolarsi. Inoltre, altri 2 monaci giovani hanno compiuto lo stesso gesto fra il 5 e il 6 gennaio: uno è morto, mentre l’altro è ferito in maniera molto grave. Secondo il governo cinese si tratta di “criminali comuni che appartengono alla cricca del Dalai Lama”.
Il leader buddista ha più volte chiesto ai suoi seguaci in Tibet e nelle province cinesi a maggioranza tibetana di non commettere suicidio: “La vita è il bene più prezioso che abbiamo. Conosciamo bene le sofferenze di queste persone, ma in questi casi serve pazienza”. I monaci che scelgono il suicidio appartenevano quasi tutti al monastero di Kirti, che non ha una grande tradizione storica e il cui abate vive in esilio a Dharamsala.
Anche il lama geshe Gedun Tharchin, che da anni studia i Cinque grandi trattati del buddismo, ha spiegato ad AsiaNews: “Per la nostra religione ogni vita è sacra, e uccidersi è un danno enorme per l’anima. Ma chi vive in Tibet ha fame di libertà, soprattutto religiosa: una fame che sta attraversando tutta la Cina. E il governo è sicuramente molto duro con loro: ho visto i video delle immolazioni apparsi sulla Rete, e non sono riuscito a provare altro che compassione per queste persone”.
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