Papa: per essere missionari non contano istituzioni e risorse, ma amare la croce e lasciarsi condurre dallo Spirito
Città del Vaticano (AsiaNews) - "La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell'istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall'amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell'albero della vita, che è la croce del Signore". E' la "Giornata dei seminaristi, novizi, novizie e di quanti sono in cammino vocazionale", in occasione dell'Anno della fede. Migliaia di giovani affollano la basilica di san Pietro. Papa Francesco ha un'attenzione particolare per coloro che rappresentano "la giovinezza della Chiesa", "la primavera della vocazione, la stagione della scoperta, della verifica, della formazione. Ed è una stagione molto bella, in cui si gettano le basi per il futuro". Li ha incontrati nel pomeriggio di ieri, per loro celebra la messa oggi.
Il Papa prende spunto dalle letture di oggi, che parlano della missione e chiede "da dove nasce la missione? La risposta è semplice: nasce da una chiamata, quella del Signore e chi è chiamato da Lui lo è per essere inviato. Ma quale dev'essere lo stile dell'inviato? Quali sono i punti di riferimento della missione cristiana?". "Attenzione - dirà poco dopo, alle 50mila persone presenti in piazza san Pietro per la recita dell'Angelus - lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, non c'è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti. Ai malati si porta la guarigione, perché Dio vuole guarire l'uomo da ogni male. Quanti missionari fanno questo! Seminano vita, salute, conforto alle periferie del mondo".
Primo "punto di riferimento" della missione, dice durante la messa, è "la gioia della consolazione. Il profeta Isaia si rivolge a un popolo che ha attraversato il periodo oscuro dell'esilio, ha subito una prova molto dura; ma ora per Gerusalemme è venuto il tempo della consolazione; la tristezza e la paura devono fare posto alla gioia: «Rallegratevi... esultate... sfavillate di gioia» - dice il Profeta (66,10). È un grande invito alla gioia. Perché? Qual è il motivo? Perché il Signore effonderà sulla Città santa e sui suoi abitanti una 'cascata' di consolazione, di tenerezza materna: «Sarete portati in braccio e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (vv. 12-13). Ogni cristiano, soprattutto noi, siamo chiamati a portare questo messaggio di speranza che dona serenità e gioia: la consolazione di Dio, la sua tenerezza verso tutti. Ma ne possiamo essere portatori se sperimentiamo noi per primi la gioia di essere consolati da Lui, di essere amati da Lui. Questo è importante perché la nostra missione sia feconda: sentire la consolazione di Dio e trasmetterla! L'invito di Isaia deve risuonare nel nostro cuore: «Consolate, consolate il mio popolo» (40,1) e diventare missione. La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!".
"Il secondo punto di riferimento della missione è la croce di Cristo. San Paolo, scrivendo ai Galati, afferma: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14). E parla di «stigmate», cioè delle piaghe di Gesù Crocifisso, come del contrassegno, del marchio distintivo della sua esistenza di Apostolo del Vangelo. Nel suo ministero Paolo ha sperimentato la sofferenza, la debolezza e la sconfitta, ma anche la gioia e la consolazione. Questo è il mistero pasquale di Gesù: mistero di morte e di risurrezione. Ed è proprio l'essersi lasciato conformare alla morte di Gesù che ha fatto partecipare san Paolo alla sua risurrezione, alla sua vittoria. Nell'ora del buio e della prova è già presente e operante l'alba della luce e della salvezza. Il mistero pasquale è il cuore palpitante della missione della Chiesa! E se rimaniamo dentro questo mistero noi siamo al riparo sia da una visione mondana e trionfalistica della missione, sia dallo scoraggiamento che può nascere di fronte alle prove e agli insuccessi. La fecondità dell'annuncio del Vangelo non è data né dal successo, né dall'insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell'uscire da se stessi e donarsi, la logica dell'amore. È la Croce - sempre Croce con Cristo - che garantisce la fecondità della nostra missione. Ed è dalla Croce, supremo atto di misericordia e di amore, che si rinasce come «nuova creatura» (Gal 6,15)".
Ieri, parlando agli stessi giovani si era riferito alla "cultura del provvisorio, che ci bastona tutti, perché non ci fa bene: perché una scelta definitiva oggi è molto difficile. Ai miei tempi era più facile, perché la cultura favoriva una scelta definitiva sia per la vita matrimoniale, sia per la vita consacrata o la vita sacerdotale. Ma in questa epoca non è facile una scelta definitiva. Noi siamo vittime di questa cultura del provvisorio". E dell'apparire. "Ma - aveva aggiunto - io vi dico, davvero, a me fa male quando vedo un prete o una suora con la macchina ultimo modello: ma non si può! Non si può! Io credo che la macchina sia necessaria perché si deve fare tanto lavoro e per spostarsi di qua... ma prendete una più umile, eh? E se ti piace quella bella, pensate a quanti bambini muoiono di fame. Soltanto quello!".
E oggi indica come "terzo elemento: la preghiera. Nel Vangelo abbiamo ascoltato: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gli operai per la messe non sono scelti attraverso campagne pubblicitarie o appelli al servizio e alla generosità, ma sono «scelti» e «mandati» da Dio. Per questo è importante la preghiera. La Chiesa, ci ha ripetuto Benedetto XVI, non è nostra, ma è di Dio; il campo da coltivare è suo. La missione allora è soprattutto grazia. E se l'apostolo è frutto della preghiera, in essa troverà la luce e la forza per la sua azione. La nostra missione, infatti, non è feconda, anzi si spegne nel momento stesso in cui si interrompe il collegamento con la sorgente, con il Signore".
"L'evangelizzazione si fa in ginocchio, mi diceva l'altro ieri uno di voi. Siate sempre uomini e donne di preghiera! Senza il rapporto costante con Dio la missione diventa mestiere. Il rischio dell'attivismo, di confidare troppo nelle strutture, è sempre in agguato. Se guardiamo a Gesù, vediamo che alla vigilia di ogni decisione o avvenimento importante, si raccoglieva in preghiera intensa e prolungata. Coltiviamo la dimensione contemplativa, anche nel vortice degli impegni più urgenti e pressanti. E più la missione vi chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il vostro cuore sia unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore. Qui sta il segreto della fecondità di un discepolo del Signore! Gesù manda i suoi senza «borsa, né sacca, né sandali» (Lc 10,4). La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell'istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall'amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell'albero della vita, che è la croce del Signore".
"Non dobbiamo - dice all'Angelus - vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è il Signore la sua grazia. E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo".
"E' bello essere missionari!", conclude, quando, rivolgendosi ai giovani presenti chiede "avete il coraggio di fare il bene, di ascoltare la chiamata?". "Tutti possono essere missionari", "non abbiate paura della gioia di annunciare il Vangelo, gioia e coraggio!".