Orissa, suora violentata nei pogrom perdona gli stupratori e racconta le sue sofferenze
di Meena Barwa
A tre anni dalle violenze contro i cristiani del Kandhamal, suor Meena Barwa si definisce una creatura nuova. Le sofferenze e i dolori di questi anni sono state un cammino verso Cristo. Il processo contro gli stupratori e la loro condanna è fondamentale per dare giustizia a tutte le vittime dei pogrom.
Bhubaneswar (AsiaNews) – “Ho incontrato molte persone per la strada che hanno camminato insieme a me, offrendomi costante sostegno, amore e incoraggiamento. La loro presenza e le loro cure mi hanno dato la forza per perdonare i miei stupratori e riconciliarmi con ciò che mi è accaduto”. È quanto racconta suor Meena Barwa, dell’ordine religioso delle Servitrici, stuprata e umiliata dagli estremisti indù durante i pogrom dell’Orissa nell’agosto 2008. A tre anni dalle violenze la giovane suora ha scelto di condividere i suoi dolori e le sue preoccupazioni, grazie ai quali ha fortificato la sua fede e la sua vicinanza a Cristo. “Nella mia vita – afferma - sono stata costretta a subire incredibili dolori… considero questo tormento come una benedizione per me. E ora riesco a capire le sofferenze degli altri a un livello più profondo secondo lo spirito cristiano”.
Suor Meena, oggi 29enne, è nata nel distretto di Sambalpur e lavora al Centro pastorale Divyajyoti a K Nuagaon, nel distretto di Kandhamal. Il suo stupro è avvenuto il 25 agosto del 2008, quando insieme a un sacerdote, p. Thomas Chellan è stata presa, picchiata, denudata e fatta girare per il villaggio. Ad un certo punto i fondamentalisti volevano perfino bruciarla viva assieme al prete. Solo alla fine, in tarda serata, mentre continuavano ad essere ingiuriati e malmenati, sono stati liberati dalla polizia (Cfr.: AsiaNews.it, 25/10/2008 Io, Sr Meena, violentata dagli indù, mentre la polizia stava a guardare).
A tutt’oggi la polizia dell’Orissa ha arrestato 22 persone legate allo stupro. Di questi, 17 sono riusciti ad uscire su cauzione.
Ecco il testo completo della testimonianza di suor Meena ad AsiaNews.
La mia vita è cambiata dopo il mio sfortunato incidente (stupro). Posso dire che questo è stato un momento di prova e testimonianza per me. Anche se ho accettato tutti quegli eventi indicibili alla luce della fede, per me è stato un cammino con Gesù. All’indomani dello stupro e dell’angoscia, sono ancora sofferente. Nella mia vita sono stata costretta a subire incredibili dolori. Ho incontrato molte persone per la strada che hanno camminato insieme a me, offrendomi costante sostegno, amore e incoraggiamento. La loro presenza e le loro cure mi hanno dato la forza per perdonare i miei stupratori e riconciliarmi con quanto accaduto.
A volte, non era possibile condividere con loro le profonde lotte che sperimentavo nel mio cuore. C’erano momenti nei quali scappavo dalle persone che mi conoscevano, ma ho fatto amicizia con gli sconosciuti a causa della mia situazione. Molte volte, mi sono ritrovata sola. Ho avuto tempo per pregare, riflettere e continuare a scoprire Dio. Tuttavia, ho sperimentato momenti di depressione e tristezza. Durante questi attimi aprivo la Bibbia, leggevo la Parola di Dio ed ero ispirata e fortificata. Tempo fa, ero del tutto sola e molto addolorata. Ho chiesto al Signore perché mi faceva patire tutte queste sofferenze. Così ho aperto la Bibbia e ho trovato i passaggi di Giovanni 15:18-19 che affermano: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Pensierosa, ho letto e riflettuto a lungo. È stato un momento molto significativo, che ha ispirato e rasserenato il mio spirito. Sentivo che era Gesù che mi parlava personalmente. Grazie alle sue parole potenti, ho guardato al di là dei miei sentimenti e pensieri negativi, e ciò è stato infuso dalla sua divina presenza.
Da quando sono iniziate le mie sofferenze e le mie angosce, mi sento più vicina a Dio. Sono diventata una creatura nuova. La mia fede è divenuta più coscente, vigorosa, dinamica e paradigmatica, rispetto al passato. Sono felice, eppure sento che c’è ancora qualcosa che manca.
Considero questo tormento come una benedizione per me. E ora riesco a capire le sofferenze degli altri a un livello più profondo, secondo lo spirito cristiano.
Ciò che mi è successo non dovrebbe accadere a nessuno. Soffro ancora. Tutto ha avuto luogo poco dopo i miei ultimi voti (1 giugno 2008), lo stupro e l’umiliazione sono avvenute il 25 agosto 2008. Anche se è stato doloroso, l’ho accettato come se fosse una professione finale fatta con Dio.
I miei genitori e parenti hanno sofferto molto più di me. Loro hanno riposto tanta fiducia in Dio. Hanno iniziato ad amarmi più di prima. Mi hanno dato un grande incoraggiamento invitandomi ad andare avanti. Inoltre mi hanno invitato di trarre forza dalla Beata Vergine Maria, che ha sofferto nella vita, ma è sempre rimasta fedele a Dio. Essi mi hanno anche detto, “Sii felice. È per volontà di Dio che tu hai dovuto soffrire. Tu sei ora piena del Suo potere e della Sua grazia per aver sperimentato e subito il dolore e l’agonia. Lui si prenderà cura di te”. Queste parole dai miei parenti mi hanno davvero confortato oltre la mia comprensione. Mi sento amata dalla mia famiglia e dalla sorelle della Congregazione della mano di Maria.
Ora credo fermamente che la sofferenza è qualcosa che accade. Non rinnego quanto è successo. Accetto la sofferenza che è nel disegno di Dio.
Personalmente, vorrei che il caso preso in esame dal tribunale giunga presto a una conclusione, visto che si sta prolungando con tempi indefiniti. Tuttavia, quando guardo la questione da un punto di vista più ampio, se non si combatte, sento che sto commettendo un peccato se non lotto per la giustizia, nonostante ciò che mi è successo. Ci sentiremmo tutti colpevoli per non aver lottato abbastanza, combattendo fino alla fine. La nostra lotta deve andare avanti per non permettere che i criminali possano commettere di nuovo, le atrocità contro gli altri, i nostri poveri e innocenti cristiani, emarginati, indifesi, perduti e oppressi.
La nostra battaglia legale dovrebbe rafforzare la causa dei cristiani del Kandhamal. Noi siamo consci che i nostri casi non riguardano solo noi, ma tutto il nostro popolo. Molti uomini e donne hanno sofferto durante i pogrom. Le loro lacrime di tristezza e il loro pianto non devono andare sprecate. Essi meritano giustizia e misericordia. I nostri casi dovrebbero infondere un senso di giustizia fra la gente della nostra terra. Quanto espresso dalla corte deve dare il segnale che i criminali non possono e non devono restare impuniti per i crimini efferati commessi contro il popolo del distretto di Kandhamal. Per questa ragione il mio caso dovrebbe giungere a conclusione.
La giustizia non è solo per me. E’ anche per loro. Dico questo nel nome della sofferenza che ho vissuto e sopportato. La popolazione deve ottenere giustizia e senza dubbio il governo dovrebbe impegnarsi in questo. La nostra gente deve avere coraggio, che non vuol dire non essere spaventati. Significa agire secondo ciò che è giusto anche quando si ha paura.
Quando penso ai pogrom del Kandhamal, il mio primo pensiero va a quelle persone che hanno perso la loro preziosa vita nel genocidio. Tutti loro sono martiri come i primi cristiani. Sono morti per Cristo, per la loro fede. Io prego per loro. Sono orgogliosa di loro.
Coloro che sono stati testimoni degli scontri non sono da meno. Sono orgogliosa anche di loro e ammiro la loro fede e la loro determinazione ad andare avanti nella vita.
Dalle ceneri del Kandhamal, la Chiesa risorgerà. La gente continuerà ad essere all’altezza della situazione: hanno già rimesso insieme pezzi dei loro ruderi per ricominciare a vivere. Ringrazio Dio per aver concesso loro la grazia e la volontà. Soprattutto, ho vissuto e lavorato con e per questa persone. Io appartengo a loro. Essi sono diventati parte della mia vita.
Mi rendo conto che i cristiani del Kandhamal sono veri discepoli di Cristo. Essi hanno dato tutto per l’armonia, la pace e la giustizia. Tutti dovrebbero comprendere e beneficiare da questo esempio, sanando le divisioni e gli attriti, portando a ognuno un raggio divino di luce e di speranza, anche a coloro che si oppongono al Vangelo e ai suoi seguaci.
Suor Meena, oggi 29enne, è nata nel distretto di Sambalpur e lavora al Centro pastorale Divyajyoti a K Nuagaon, nel distretto di Kandhamal. Il suo stupro è avvenuto il 25 agosto del 2008, quando insieme a un sacerdote, p. Thomas Chellan è stata presa, picchiata, denudata e fatta girare per il villaggio. Ad un certo punto i fondamentalisti volevano perfino bruciarla viva assieme al prete. Solo alla fine, in tarda serata, mentre continuavano ad essere ingiuriati e malmenati, sono stati liberati dalla polizia (Cfr.: AsiaNews.it, 25/10/2008 Io, Sr Meena, violentata dagli indù, mentre la polizia stava a guardare).
A tutt’oggi la polizia dell’Orissa ha arrestato 22 persone legate allo stupro. Di questi, 17 sono riusciti ad uscire su cauzione.
Ecco il testo completo della testimonianza di suor Meena ad AsiaNews.
La mia vita è cambiata dopo il mio sfortunato incidente (stupro). Posso dire che questo è stato un momento di prova e testimonianza per me. Anche se ho accettato tutti quegli eventi indicibili alla luce della fede, per me è stato un cammino con Gesù. All’indomani dello stupro e dell’angoscia, sono ancora sofferente. Nella mia vita sono stata costretta a subire incredibili dolori. Ho incontrato molte persone per la strada che hanno camminato insieme a me, offrendomi costante sostegno, amore e incoraggiamento. La loro presenza e le loro cure mi hanno dato la forza per perdonare i miei stupratori e riconciliarmi con quanto accaduto.
A volte, non era possibile condividere con loro le profonde lotte che sperimentavo nel mio cuore. C’erano momenti nei quali scappavo dalle persone che mi conoscevano, ma ho fatto amicizia con gli sconosciuti a causa della mia situazione. Molte volte, mi sono ritrovata sola. Ho avuto tempo per pregare, riflettere e continuare a scoprire Dio. Tuttavia, ho sperimentato momenti di depressione e tristezza. Durante questi attimi aprivo la Bibbia, leggevo la Parola di Dio ed ero ispirata e fortificata. Tempo fa, ero del tutto sola e molto addolorata. Ho chiesto al Signore perché mi faceva patire tutte queste sofferenze. Così ho aperto la Bibbia e ho trovato i passaggi di Giovanni 15:18-19 che affermano: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Pensierosa, ho letto e riflettuto a lungo. È stato un momento molto significativo, che ha ispirato e rasserenato il mio spirito. Sentivo che era Gesù che mi parlava personalmente. Grazie alle sue parole potenti, ho guardato al di là dei miei sentimenti e pensieri negativi, e ciò è stato infuso dalla sua divina presenza.
Da quando sono iniziate le mie sofferenze e le mie angosce, mi sento più vicina a Dio. Sono diventata una creatura nuova. La mia fede è divenuta più coscente, vigorosa, dinamica e paradigmatica, rispetto al passato. Sono felice, eppure sento che c’è ancora qualcosa che manca.
Considero questo tormento come una benedizione per me. E ora riesco a capire le sofferenze degli altri a un livello più profondo, secondo lo spirito cristiano.
Ciò che mi è successo non dovrebbe accadere a nessuno. Soffro ancora. Tutto ha avuto luogo poco dopo i miei ultimi voti (1 giugno 2008), lo stupro e l’umiliazione sono avvenute il 25 agosto 2008. Anche se è stato doloroso, l’ho accettato come se fosse una professione finale fatta con Dio.
I miei genitori e parenti hanno sofferto molto più di me. Loro hanno riposto tanta fiducia in Dio. Hanno iniziato ad amarmi più di prima. Mi hanno dato un grande incoraggiamento invitandomi ad andare avanti. Inoltre mi hanno invitato di trarre forza dalla Beata Vergine Maria, che ha sofferto nella vita, ma è sempre rimasta fedele a Dio. Essi mi hanno anche detto, “Sii felice. È per volontà di Dio che tu hai dovuto soffrire. Tu sei ora piena del Suo potere e della Sua grazia per aver sperimentato e subito il dolore e l’agonia. Lui si prenderà cura di te”. Queste parole dai miei parenti mi hanno davvero confortato oltre la mia comprensione. Mi sento amata dalla mia famiglia e dalla sorelle della Congregazione della mano di Maria.
Ora credo fermamente che la sofferenza è qualcosa che accade. Non rinnego quanto è successo. Accetto la sofferenza che è nel disegno di Dio.
Personalmente, vorrei che il caso preso in esame dal tribunale giunga presto a una conclusione, visto che si sta prolungando con tempi indefiniti. Tuttavia, quando guardo la questione da un punto di vista più ampio, se non si combatte, sento che sto commettendo un peccato se non lotto per la giustizia, nonostante ciò che mi è successo. Ci sentiremmo tutti colpevoli per non aver lottato abbastanza, combattendo fino alla fine. La nostra lotta deve andare avanti per non permettere che i criminali possano commettere di nuovo, le atrocità contro gli altri, i nostri poveri e innocenti cristiani, emarginati, indifesi, perduti e oppressi.
La nostra battaglia legale dovrebbe rafforzare la causa dei cristiani del Kandhamal. Noi siamo consci che i nostri casi non riguardano solo noi, ma tutto il nostro popolo. Molti uomini e donne hanno sofferto durante i pogrom. Le loro lacrime di tristezza e il loro pianto non devono andare sprecate. Essi meritano giustizia e misericordia. I nostri casi dovrebbero infondere un senso di giustizia fra la gente della nostra terra. Quanto espresso dalla corte deve dare il segnale che i criminali non possono e non devono restare impuniti per i crimini efferati commessi contro il popolo del distretto di Kandhamal. Per questa ragione il mio caso dovrebbe giungere a conclusione.
La giustizia non è solo per me. E’ anche per loro. Dico questo nel nome della sofferenza che ho vissuto e sopportato. La popolazione deve ottenere giustizia e senza dubbio il governo dovrebbe impegnarsi in questo. La nostra gente deve avere coraggio, che non vuol dire non essere spaventati. Significa agire secondo ciò che è giusto anche quando si ha paura.
Quando penso ai pogrom del Kandhamal, il mio primo pensiero va a quelle persone che hanno perso la loro preziosa vita nel genocidio. Tutti loro sono martiri come i primi cristiani. Sono morti per Cristo, per la loro fede. Io prego per loro. Sono orgogliosa di loro.
Coloro che sono stati testimoni degli scontri non sono da meno. Sono orgogliosa anche di loro e ammiro la loro fede e la loro determinazione ad andare avanti nella vita.
Dalle ceneri del Kandhamal, la Chiesa risorgerà. La gente continuerà ad essere all’altezza della situazione: hanno già rimesso insieme pezzi dei loro ruderi per ricominciare a vivere. Ringrazio Dio per aver concesso loro la grazia e la volontà. Soprattutto, ho vissuto e lavorato con e per questa persone. Io appartengo a loro. Essi sono diventati parte della mia vita.
Mi rendo conto che i cristiani del Kandhamal sono veri discepoli di Cristo. Essi hanno dato tutto per l’armonia, la pace e la giustizia. Tutti dovrebbero comprendere e beneficiare da questo esempio, sanando le divisioni e gli attriti, portando a ognuno un raggio divino di luce e di speranza, anche a coloro che si oppongono al Vangelo e ai suoi seguaci.
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