11/04/2012, 00.00
INDIA
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Massacri in Gujarat: il ministro Narendra Modi scagionato da ogni accusa

di Nirmala Carvalho
P. Cedric Prakash, direttore del centro per diritti umani, giustizia e pace “Prashant”, denuncia vizi procedurali nelle indagini: testimoni non ascoltati e registrazioni telefoniche non messe agli atti. Nel 2002 il Gujarat è stato teatro di violenti disordini di matrice interreligiosa tra indù e musulmani: oltre 1.000 i morti accertati, 253 dispersi, 523 luoghi di culto distrutti.

Mumbai (AsiaNews) - Un verdetto "molto amaro" per i sopravvissuti, giunto dopo "un'intera inchiesta sospetta oltre ogni ragionevole dubbio". P. Cedric Prakash sj, direttore del centro gesuita per diritti umani, giustizia e pace di Ahmedhabad Prashant, critica la sentenza emessa oggi da una corte indiana, che scagiona Narendra Modi, chief minister del Gujarat, da ogni accusa di coinvolgimento nei massacri del 2002. Il tribunale ha prosciolto anche altri 58 co-accusati.

In particolare, il sacerdote denuncia vizi procedurali commessi dallo Special Investigation Team (Sit) appuntato dalla Corte suprema. "Il modo in cui sono state condotte le indagini - sottolinea p. Prakash, originario del Gujarat - la dice lunga sul verdetto. Testimoni mai ascoltati e registrazioni telefoniche non messe agli atti sono ragioni sufficienti per credere che l'intera inchiesta sia sospetta. Ma non tutto è ancora perduto. La lotta per la giustizia e la verità continuerà, fino alla fine".

Il 27 febbraio del 2002 un gruppo di musulmani aggredirono e diedero fuoco al Sabarmati Express, a bordo del quale vi erano indù - soprattutto donne, bambini e anziani - di ritorno da un pellegrinaggio a Ayodhya. L'assalto, in cui morirono 58 persone, scatenò violenti disordini di matrice interreligiosa in tutto il Gujarat. Tra questi, vi è anche il massacro alla Gulbarg Society, un complesso residenziale islamico ad Ahmedhabad. Il 28 febbraio, una folla di persone ha dato fuoco alle case, causando la morte di 68 musulmani. Tra queste, anche il politico Ehsan Jafri, all'epoca esponente di spicco del Congress.

La vedova di Jafri ha sempre accusato Modi e il suo Bharatiya Janata Party (Bjp, partito ultranazionalista indù al governo) di aver cospirato nei disordini, per non aver saputo controllare la situazione e aver poi cercato di non accertare la verità.

Nel massacro, la comunità islamica del Gujarat ha pagato il prezzo più alto: degli oltre 1.000 morti accertati, 790 erano musulmani e 254 indù. Almeno 253 persone sono state dichiarate disperse; 523 luoghi di culto, comprese tre chiese, sono state danneggiate; 27.901 indù e 7.651 musulmani sono stati arrestati. 

 

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