28/08/2010, 00.00
TURCHIA
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Le indebite interferenze del governo turco nella scelta dei leader religiosi

Ankara riconosce solo 4 religioni: l’islam sunnita, il cristianesimo greco-ortodosso, i cristiani apostolici armeni e gli ebrei, e pretende che siano eletti leader di suo gradimento. Le sue scelte appaiono spesso dettate da criteri di politica estera.

Ankara (AsiaNews/F18) – Il governo turco interferisce nella scelta dei patriarchi delle comunità cristiane greco-ortodossa e Apostolica armena, come pure del mufti capo islamico e del rabbino capo ebreo. L’agenzia Forum 18 ricorda sistematiche ingerenze della Turchia nella designazione di questi leader, con violazione dei diritti dei gruppi religiosi.

Ankara riconosce solo 4 religioni: l’islam sunnita, il cristianesimo greco-ortodosso, i cristiani apostolici armeni e gli ebrei. Le altre fedi non sono riconosciute né ammesse, seppure sono in genere tollerate in via di fatto. Peraltro anche a queste 4 comunità non sono riconosciuti diritti civili: ad esempio, non  possono essere proprietarie di beni.

Il capo del Diyanet (Presidenza degli Affari Religiosi, che governa gli islamici sunniti) è di diretta nomina del governo. Le altre confessioni musulmane non  sono  riconosciute, ma soltanto tollerate e possono essere vietate in ogni  momento.

Fonti di F18 spiegano che, anche se non esiste alcuna norma che preveda un’interferenza dello Stato, tuttavia queste cariche sono assegnate solo con il previo assenso del governo “all’esito di negoziazioni tra le parti” che avvengono in modo “differente per ogni  elezione”: in genere la comunità religiosa propone alcuni  nomi e il ministro dell’Interno indica quelli che  ritiene non corrispondenti ai “criteri di legge”, sebbene non ci siano leggi in merito.

Analogo intervento non avviene per i gruppi religiosi non riconosciuti, come la Chiesa Cattolica e quella Anglicana, lasciati liberi di scegliere i propri leader.

L’intervento di Ankara arriva a definire l’esatto “titolo” dei leader religiosi e i criteri per la loro nomina. Così, il governo non riconosce a Bartolomeo e ai suoi predecessori il titolo di “Patriarca Ecumenico” ma solo di “Fener Rum Patrik”, Patriarca di Fener, che è il quartiere di Istanbul dove il Patriarca risiede. In questo modo nega che il Patriarca abbia giurisdizione sulle comunità ortodosse in altri Paesi, come quelle della Grecia orientale e di altre parti della diaspora. Un tribunale turco nel giugno 2007 ha negato a Bartolomeo il titolo di “Ecumenico” e ha statuito che egli non ha giurisdizione al di fuori della Turchia, suscitando ampie proteste internazionali.

Allo stesso modo Ankara nega che il Patriarca Armeno abbia giurisdizione anche sulle comunità armene estere, come nell’isola greca di Creta.

Per gli ebrei sin dalle elezioni del 2002 il governo ha stabilito alcuni requisiti che deve avere il rabbino capo: essere cittadino turco di almeno 40 anni con una determinata esperienza religiosa e ben accetto dal governo. Il mandato al rabbino capo è scaduto nel 2009 e il governo turco ha acconsentito alla nuova elezione solo nel maggio 2010.

Il governo pretende anche che tutti i membri degli organi religiosi direttivi (il Santo Sinodo greco-ortodosso, il Consiglio Spirituale del patriarcato armeno e il Beth Din ebreo) siano cittadini turchi, ma in genere non interviene nella loro scelta.

Se la comunità religiosa non rispetta le “indicazioni” del governo si può giungere a confronti duri, come per la comunità Apostolica armena, che ha circa 60mila fedeli. Nel 1998 ha eletto Patriarca a vita Mesrop Mutafyan, contro l’espressa volontà delle autorità turche. Il Patriarca Mesrop è stato poi sottoposto a forti pressioni affinché rinunciasse. Ora che Mesrop è malato e impossibilitato a esercitare le sue funzioni, la comunità vuole eleggere un nuovo patriarca e intendeva votarlo il 12 maggio. Ma il governo non ha autorizzato l’elezione e solo dopo ha spiegato, con una lettera del ministero dell’Interno del 29 giugno, che non ritiene legale la nuova elezione finché il Patriarca è in vita, suggerendo piuttosto la nomina di un “vicario-generale”: carica non prevista nella comunità, che parla in modo aperto di indebita interferenza. Per superare il grave stallo, il Consiglio Spirituale il 1° luglio ha scelto l’arcivescovo Aram che ha assunto il titolo di Vicario-generale: la comunità non ha potuto nominare il suo nuovo Patriarca.

F18 denuncia che la pretesa di subordinare la nomina dei capi religiosi all’assenso dello Stato, costituisce violazione della “libertà di pensiero, coscienza e religione”, sancita dall’art. 18 della Dichiarazione universale dei Diritti Umani e dall’art. 9 della Convenzione europea dei Diritti umani. Inoltre Ankara ha dimostrato, in questi decenni, di non avere nemmeno una condotta univoca sulla questione, ma di adottare posizioni diverse in conseguenza della sua politica estera. Per cui la scelta dei leader religiosi viene a essere determinata da questioni del tutto estranee alle comunità medesime e ai loro rapporti con lo Stato e può diventare materia di scambio politico.

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