25/03/2016, 09.48
ASIA - EUROPA
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La risurrezione di Cristo, la vecchiaia e il rischio

di Bernardo Cervellera

Perdutosi nel prometeismo presuntuoso che si autoproclamava capace di guarire tutti i mali possibili, il mondo diventa sempre più vecchio e immobile. Davanti ai problemi e agli ostacoli, serve che l’uomo ritrovi il coraggio di affidarsi e di rischiare. Nell’annuncio di Pasqua vi è una forza che fa fiorire la vita anche nei luoghi dove domina la morte e la repressione: fra i profughi dell’Iraq; fra i cristiani della Cina; fra i poveri delle Filippine.

Roma (AsiaNews) – Alcune settimane fa, parlando con una giovane non cristiana, sono stato colpito dal suo pessimismo a soli 22 anni. “Non ci sono grandi ideali - ha detto – e quando ci sono, tutti li tradiscono”. Alla mia domanda se era nichilista, ha risposto: “No, ma mi bastano dei piccoli ideali da un giorno, che diano senso a 24 ore”.

La vita stentata dei giovani è caratteristica dell’Italia e dell’Europa, ma non solo: ovunque incombono gli spettri della disoccupazione, della precarietà, della difficoltà a costruirsi una famiglia. Per fare qualche passo, per accettare qualunque lavoro con gioia, per sposarsi occorre che ci sia un rischio, un salto non dominato dalla sicurezza ma… dalla fede.

Il nostro mondo – e qui parlo soprattutto dell’Italia e del mondo occidentale – sta sprofondando in una specie di immobilità che si caratterizza con la mancanza di ideali e di slanci, in una specie di vecchiaia precoce e svogliata (come ha detto papa Francesco ai giovani del Messico), che è un’anticamera della morte.

Davanti a questa situazione mi viene in mente l’icona orientale della Risurrezione del Signore, con al centro il Cristo che libera Adamo ed Eva dall’Ade. Il Cristo è raffigurato atletico e vibrante, in movimento, danzante sulle porte dell’inferno, che giacciono distrutte ai suoi piedi. Adamo ed Eva sono vecchi e rattrappiti, il viso raggrinzito, i capelli bianchi e scomposti, le braccia e le mani contorte dagli acciacchi o come da una paralisi. Proprio quelle mani vengono afferrate dal Signore splendente e trascinate in su, in alto, vicino alla mandorla della luce di Cristo, in piedi, portando i nostri progenitori, la razza umana, vicino al loro Salvatore.

Questo mondo stanco e invecchiato ha bisogno della risurrezione di Cristo. Dopo essersi perso nel prometeismo presuntuoso che si autoproclamava capace di portare la giustizia nel mondo, l’uguaglianza, il benessere, la pace, ora raccoglie i frutti malsani e corrotti delle dittature, degli abissali squilibri sociali, degli ambigui “nuovi diritti”, delle guerre piccole e grandi che insanguinano tanti Paesi: tutte micce per conflitti sociali senza fine che potrebbero portare all’azzeramento del mondo.

C’è bisogno di testimoni della Risurrezione. Che grande conforto è visitare i profughi di Mosul, sfuggiti alle decapitazioni dello Stato islamico e vederli ricostruire senza lamenti e ira le loro case nel Kurdistan; o ricevere la testimonianza di mons. Shlemon Warduni sugli aiuti che i cristiani hanno portato alle 1600 famiglie di profughi musulmani di Ramadi (Iraq); ascoltare il racconto della fraternità fra cristiani e musulmani ad Aleppo, catalizzata dalla presenza di sacerdoti e frati che non lasciano la città a rischio della vita, per rimanere come segno di speranza. A questo si possono aggiungere le testimonianze dei nuovi cristiani in Cina, che si preparano al battesimo la notte di Pasqua, incuranti dell’accresciuto controllo e persecuzione verso le religioni da parte di un regime pauroso di crollare; o la colletta quaresimale dei poveri delle Filippine per sostenere coloro che sono ancora più poveri.

C’è nell’annuncio cristiano una forza che fa fiorire la vita anche nei luoghi dove domina la morte e questa forza è un dono della stessa presenza di Cristo fra i fedeli, che fa attraversare ogni valle di lacrime per immettere segnali di speranza.

Perché questo avvenga, il mondo deve accettare il rischio di credere in Lui. D’altra parte, nel proprio sacco prometeico si pesca ormai solo materiale putrefatto. Il termine “rischio” viene spesso associato con un qualcosa di “irrazionale”. In una conferenza a cui partecipavo come oratore, e in cui esprimevo il desiderio di papa Francesco di soccorrere i migranti, di accoglierli e di integrarli, un altro relatore mostrava invece tutte le difficoltà del caso, i sospetti, i costi economici, i pro e i contro senza giungere ad una conclusione. Un mondo troppo ”razionale”, di una razionalità matematica e chiusa, porta all’immobilismo, che è il risultato di un pregiudizio egoista.

Se non vogliamo morire di vecchiaia sterile, se vogliamo dare ai giovani ideali per la vita – non per un solo giorno – occorre rischiare anzitutto nel credere in Cristo, facendoci aiutare dai suoi testimoni. Buona Pasqua.

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