La Santa Sede e la Chiesa in Cina: tanta fermezza e tanta misericordia
di Bernardo Cervellera
Nel Messaggio della Commissione sulla Chiesa in Cina, diffuso oggi si ribadiscono gli elementi necessari alla comunione ecclesiale, dopo l’ordinazione illecita di Chengde e l’Assemblea dei rappresentanti cattolici a Pechino. Nessuna scomunica, ma il papa sottolinea che la fede e l’unità della Chiesa sono i beni fondamentali. Avviata la causa di beatificazione di Paolo Xu Guangqi. Il 24 maggio Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Tanta fermezza e tanta misericordia; rivendicazione di libertà e disponibilità al dialogo con Pechino: su questo crinale di difficile sintesi si muove il Messaggio ai cattolici cinesi diffuso oggi dalla Commissione vaticana per la Chiesa in Cina. Il raduno dall11 al 13 aprile è avvenuto dopo le due umiliazioni subite da Benedetto XVI e dalla Santa Sede con l’ordinazione illecita di Chengde e l’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici: entrambi i gesti contrari alle indicazioni del papa ed entrambi avvenuti alla presenza di vescovi in comunione con il pontefice che, obbligati o volentieri, erano presenti ai due eventi.
Il Messaggio si diffonde su questi due fatti e ricorda che il mandato del papa è necessario alle ordinazioni episcopali in nome della fede e non va visto come un’intromissione indebita “negli affari interni di uno Stato”. Il Messaggio lo ricorda alla Cina, che come Stalin è sempre timorosa delle “divisioni” del Vaticano, ma lo ricorda anche a qualche vescovo cinese che pur in formale comunione col pontefice, rimane affascinato dal “patriottismo” e dalla “indipendenza” di una Chiesa per così dire “conciliarista”.
Il documento è netto nel ricordare le sanzioni canoniche (scomunica) legati a gesti di disobbedienza, e per questo domanda che ogni vescovo si giustifichi e spieghi come e perché essi sono avvenuti davanti alla Santa Sede e ai propri fedeli rimasti scandalizzati dall’affronto ai dettami del papa.
Ma il Messaggio – e il papa – non scomunica nessuno. Questo è perché la Commissione è preoccupata soprattutto dell’unità della Chiesa in Cina che a oltre tre anni dalla Lettera del papa (2007), che invitava alla riconciliazione, si trova più divisa che mai. Da qui l’esortazione ad “amare, a perdonare, e ad essere fedeli”, a “salvaguardare l'unità e la comunione ecclesiale anche a costo di grandi sacrifici”. Anche il papa, presente all’ultima sessione della Commissione ha sottolineato che “la fede della Chiesa, esposta nel Catechismo della Chiesa Cattolica e da difendere anche a prezzo di sacrifici, è il fondamento sul quale le comunità cattoliche in Cina devono crescere nell’unità e nella comunione”.
Nel testo si ribadisce la condanna agli organismi che intromettendosi nella vita della Chiesa
tentano di plasmarla secondo “i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”, inconciliabili con la dottrina cattolica. La citazione, tratta dalla Lettera del papa ai cattolici cinesi (n.7) si riferisce proprio all’Assemblea dei rappresentanti cattolici, che si pone al di sopra dell’autorità dei vescovi, e all’Associazione patriottica, che controlla la vita dei vescovi e delle comunità ufficiali.
Ma il documento non suggerisce nessuna azione pratica, limitandosi ad affermare i valori ecclesiali. Molti vescovi non ufficiali domandano ai loro colleghi riconosciuti dal governo di essere più decisi e coraggiosi, uscendo dall’Ap. Ma questo non avviene per paura, per timore, per comodo: da alcuni anni l’Ap ha messo in atto una campagna di “simpatia” verso i vescovi offrendo loro enormi benefici (case nuove, automobili, soldi,…), che rendono più difficile il distacco richiesto dal papa.
È probabile che sia proprio questa fragilità dei nuovi vescovi – giovani quarantenni che non hanno mai vissuto in una Chiesa libera dall’ingerenza dello Stato – a spingere la Commissione a domandare una più profonda formazione dei seminaristi e del clero.
Anche verso il governo cinese vi è un insieme di nettezza e magnanimità: il Messaggio ribadisce che le nomine dei vescovi competono alla Santa Sede, ma allo stesso tempo offre a Pechino la possibilità di trovare un accordo nella scelta dei candidati.
Il Messaggio lancia un appello (a Pechino?) con “timore e trepidazione per il futuro” , “affinché i problemi non crescano e le divisioni non si approfondiscano, a scapito dell’armonia e della pace”.
L’Ap ha infatti minacciato diverse volte di procedere a nominare decine di vescovi senza il consenso della Santa Sede, incurante delle esigenze della fede e della comunione.
A testimonianza del desiderio di collaborare con il governo cinese, la Commissione si mostra disponibile a parlare con esso sulle suddivisioni ecclesiastiche. Il governo, infatti, vorrebbe che le diocesi ricopiassero le suddivisioni amministrative, cancellando antiche sedi episcopali. Finora il Vaticano ha tenuto insieme le due suddivisioni, ma con questa proposta dà il via a una ristrutturazione della distribuzione dei vescovi in tutta la Cina, evitando zone ad alta concentrazione – esempio, attorno a Pechino – e zone dove invece le sedi sono più rare.
In questo tempo “di disorientamento e di ansietà”, di “dolore” e di “prove”, il conforto della Commissione (e della Chiesa in Cina) viene dal vedere i molti impegni missionari e caritativi di sacerdoti, suore e fedeli, come pure dalla santità della Chiesa e dalla preghiera.
Il Messaggio ricorda che è stata accettata la proposta della diocesi di Shanghai di avviare la causa di beatificazione di Paolo Xu Guangqi, il mandarino cinese battezzato dai primi gesuiti nel XVII secolo, grande personalità scientifica del suo tempo molto apprezzato anche dagli storiografi cinesi, che va ad aggiungersi alla causa di beatificazione di Matteo Ricci.
E ricorda anche che il 24 maggio, festa di Maria Aiuto dei cristiani, celebrata nel santuario di Sheshan (vicino a Shanghai), rimane per tutta la Chiesa universale una Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina.
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