07/04/2006, 00.00
India
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India, la Chiesa "guarda con ammirazione" la lotta contro le dighe sul Narmada

di Nirmala Carvalho

L'arcivescovo di Delhi ed il presidente dell'All India Catholic Union si dicono "preoccupati per la salute di Medha Paktar" ed invitano il governo "a rispettare i più poveri, unico modo in cui una nazione supera l'esame della morale".

Delhi (AsiaNews) – L'arcidiocesi di Delhi e tutti i suoi fedeli "guardano con ammirazione e con spirito di solidarietà" gli sforzi di Medha Paktar e del suo movimento, che "mirano a ridare dignità umana a centinaia di migliaia di tribali del Madhya Pradesh". Con queste parole l'arcivescovo di Delhi, mons. Vincent Concessao, benedice la protesta del Narmada Bachao Andolan [Salviamo il fiume Narmada ndr] il movimento ambientalista guidato dalla Paktar che cerca di fermare la costruzione delle nuove dighe sul fiume.

L'Autorità per il controllo del fiume Narmada ha approvato la scorsa settimana il piano governativo, nato 20 anni fa, che prevede la costruzione di 3.165 sbarramenti di diversa capienza sui 1.200 chilometri del fiume e dei suoi tributari. Secondo l'Autorità, le nuove costruzioni "faranno affluire acqua in abbondanza al Gujarat, al Maharashtra ed al Madhya Pradesh, che ne hanno estremamente bisogno". Secondo il movimento, invece, le dighe costringeranno oltre 40 mila famiglie di tribali adivasi a lasciare le loro terre a fronte di un risarcimento irrisorio: l'acqua, infatti, coprirà più di 1.100 ettari di terra coltivabile. "Non hanno alcun peso economico – denunciano gli ecologisti – e per questo vengono ignorati".

Per fermare questo piano, da cui la Banca mondiale di è ritirata nei primi anni '90, l'attivista ha iniziato uno sciopero della fame in una strada della capitale dell'Unione: dopo otto giorni, il 5 aprile, è stata arrestata e poi ricoverata d'urgenza all'Istituto di scienze mediche di Delhi, dove si trova tuttora. Gli attivisti che protestavano con lei sono stati sgombrati dalla polizia.

"Siamo preoccupati per la sua salute dopo il digiuno – scrive mons. Concessao in un documento pubblicato questa mattina e firmato insieme a John Dayal, presidente dell'All India Catholic Union - e chiediamo con urgenza al governo di rispondere al problema che l'ha spinta verso questa estrema, anche se pacifica e non-violenta, protesta. Siamo felici che un gruppo di ministri dell'Unione stia controllando di persona la situazione e speriamo che il governo voglia veramente trovare una soluzione dopo così tanti anni".

"L'acqua – sottolinea il presule - può portare benefici ad una zona, ma il fiume che viene fatto innalzare inonda non solo la terra, ma anche uno stile di vita ed una cultura. In termini economici, il dislocamento significa non solo perdere quei terreni dove innumerevoli generazioni hanno vissuto sin dall'alba dell'umanità, ma la loro cancellazione in una maniera tale da lasciare seri dubbi sul benessere delle generazioni future".

"L'interruzione del principio dell'auto-sostentamento degli adivasi tramite l'agricoltura e la ferita che viene inferta alla loro dignità – aggiunge il prelato – assumono quindi dimensioni storiche, che toccano il cuore di ogni uomo e donna comune dell'India. La Chiesa sente che il vero esame morale di una società è il modo in cui questa tratta i suoi membri più vulnerabili e i poveri sono coloro che possono appellarsi con più urgenza alla coscienza della nazione. Siamo chiamati ad appoggiare o meno le decisioni della politica in relazione a come queste colpiscono i poveri".

"Hanno perso le loro strutture sociali tradizionali, le loro case, il loro posto all'interno della società ed ogni forma di sopravvivenza ed hanno quindi bisogno di protezione e servizi. La Chiesa – conclude - ha detto più volte ai governi di tutto il mondo ciò che noi ora diciamo al governo dell'India: quando le persone vengono private della possibilità di farsi una vita e vengono gettate nella miseria, allora gli sono stati negati i diritti di base. La società deve assicurare che questi diritti siano protetti. L'economia esiste per servire le persone, non il contrario".

Dello stesso avviso anche il padre gesuita Cedric Prakash, direttore del Centro per i diritti umani Prashant, che ha lavorato insieme al movimento. "Il governo – dice – deve rispondere immediatamente a tutte le richieste di Medha Paktar e del Narmada Bachao Andolan. La nostra esperienza di prima mano nella valle del Narmada ci ha messo a stretto contatto con i tribali dell'area, totalmente ignorati da questo mega-progetto, creato per aiutare i ricchi ed i potenti ad avere di più, facendo pagare i poveri e gli impotenti".

"E' evidente – aggiunge - che coloro che sono stati privati delle loro terre non sono stati riabilitati: alcuni degli sforzi 'cosmetici' da parte del Governo statale hanno reso solamente la vita più dura per i tribali. Senza considerare i danni ecologici ed ambientali che queste dighe creeranno per le future generazioni. La miseria enorme in cui versano le persone che vivono in queste zone deve costringere il governo a rispondere in fretta".

"Ogni risposta diversa da questa – conclude - equivale ad una violazione totale della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo".

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