20/03/2008, 00.00
CINA - TIBET
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Dopo 9 giorni, Pechino ammette: anche in Cina scontri con i tibetani

Il portavoce del governo parla di “pochi fuorilegge” fermati dalla polizia “con la massima severità”, ma non svela dati sulle vittime o sugli arresti avvenuti dopo gli scontri in Gansu e Sichuan. Nonostante le foto dei massacri, negati scontri nel Sichuan e nel Qinghai. Nel frattempo, continua la repressione a Lhasa.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Dopo 9 giorni di smentite, il governo cinese ammette che nella provincia settentrionale del Gansu, popolata da tibetani, si sono verificati degli scontri fra la polizia ed un gruppo che manifestava per sostenere le proteste di Lhasa. Tuttavia, nonostante le foto del massacro siano giunte in Occidente, Pechino continua a negare che si siano verificati disordini nelle province del Sichuan e del Qinghai, tutte confinanti con il Tibet.
 
Zhang Yusheng, portavoce del governo, dice: “Nei giorni scorsi, vi sono stati scontri nelle contee di Xiahe, Luchu e Machu. Pochi fuorilegge hanno distrutto con violenza negozi, scuole ed altri edifici statali. La polizia ha usato la massima severità per fermarli”. Zhang non fornisce però alcun dato sugli arresti o sulle violenze compiute, e nega che vi siano state delle vittime.  
 
Nel frattempo, la repressione a Lhasa continua ad accrescersi: le autorità cinesi hanno arrestato ieri 24 persone che hanno partecipato nei giorni scorsi alle manifestazioni di protesta organizzate nella capitale. Secondo la Xinhua – agenzia di stampa del regime cinese – altre 170 persone si sono consegnate “in maniera spontanea” alle forze di polizia.
 
Le proteste in Tibet sono nate lo scorso 10 marzo, quando centinaia di persone - divenute con il tempo migliaia – hanno manifestato a Lhasa e in altre località del Tibet per commemorare le vittime della sanguinosa repressione del 1959, attuata dal governo comunista contro la popolazione tibetana che chiedeva il ritorno dell’indipendenza. Durante questi giorni il Dalai Lama - leader spirituale del buddismo tibetano – ha sempre domandato di agire secondo principi dela non-violenza, anche se Pechino lo accua di essere la mente che ha guidato la rivolta. Secondo il governo tibetano in esilio a Dharamsala, le vittime della repressione sono “centinaia”.
 
Sul fronte internazionale, la crisi tibetana ha scatenato diverse reazioni. Benedetto XVI ha auspicato ieri che nella regione “si scelga la via del dialogo e della tolleranza”, mentre il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato la sua intenzione di voler incontrare il Dalai Lama “appena questi arriverà in Inghilterra”. Infine, Angela Merkel ha bloccato la firma di un accordo commerciale con la Cina, e lo ha subordinato ad “un dialogo pacifico e diretto tra Pechino e il Dalai Lama”.
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