14/06/2007, 00.00
COREA DEL NORD
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Disabili nel Nord: emarginati dal regime, ignorati dal mondo, aiutati dalla Caritas

di Joseph Yun Li-sun
Il regime stalinista di Pyongyang ha ammesso soltanto nel 2003, e solo su pressione della comunità internazionale, la presenza di disabili fra la popolazione. Questi sono considerati un peso per lo sviluppo e per questo lasciati morire. In loro aiuto, solo la Caritas.
Seoul (AsiaNews) – Sono reietti, schiacciati ai margini della società da un regime che solo da pochi anni ha ammesso ufficialmente la loro esistenza: senza il lavoro della Caritas, i disabili nordcoreani sarebbero costretti a morire nell’indifferenza generale. Lo denunciano operatori sociali e rifugiati, che in Corea del Sud si sono riuniti dall'inizio della settimana per parlare della situazione della sanità nella parte nord del confine.
 
Proprio dal racconto degli esuli emerge una realtà terribile: la società nordcoreana manca di servizi di riabilitazione sanitaria, e considera i disabili un peso per lo sviluppo socialista e di conseguenza una minaccia all’esistenza stessa del Paese. Il principio, contenuto nell’ideologia stalinista Juche (ideata dal "Presidente eterno" Kim Il-sung) viene applicato con costanza.
 
Lo sottolinea Lee Aeran, fuggito nella parte sud della penisola, che dice: “Nel mio Paese, i disabili vengono chiamati scherzi della natura o freak. Da quando è stato costretto ad ammetterne l’esistenza, il regime continua ad indicarli come la causa di ogni male”. Fino a pochi anni fa, infatti, Pyongyang non riconosceva neanche l’esistenza dei disabili. Senza l’aiuto della Caritas, e di altre organizzazioni caritatevoli come la Croce Rossa, questi “sarebbero condannati alla morte certa”.
 
La denuncia era già stata lanciata da mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejon e presidente della Caritas nazionale, che ad AsiaNews aveva spiegato il primo obiettivo dell’organizzazione in Corea del Nord: “L’aiuto alle fasce più colpite della popolazione: disabili, anziani e donne. Il nostro compito, la nostra missione, deve guardare per prima cosa a loro. Per questo abbiamo convinto il regime a lasciarci distribuire i nostri aiuti in maniera indipendente”. La situazione dei disabili, riprende Lee, “è particolarmente dura nelle città. Se in una famiglia di Pyongyang nasce un bimbo malato, tutti i familiari vengono espulsi dalla capitale, e cacciati con la forza nelle campagne”.
 
Lo conferma Jeong Taek Jeong, presidente dell’Associazione americana Milal per i disabili: “Ho visitato la Corea del Nord diverse volte, e sono rimasto sconvolto dallo scoprire che lì non esistono centri di riabilitazione o terapia per le malattie congenite. I disabili non hanno sedie a rotelle, stampelle o altri aiuti di tipo sanitario. Semplicemente, vengono buttati via”.
 
Nel 2003, su pressione della comunità internazionale, il governo nordcoreano ha presentato una legge che protegge i diritti dei disabili: il testo non è mai però stato firmato dal governo stesso, che così facendo lo ha reso nullo.
 
In teoria, in Corea del Nord esistono undici scuole per disabili: queste non ricevono però nessun fondo statale e, in pratica, non possono fare nulla. Inoltre, sullo statuto di fondazione degli istituti è scritto che questi “servono per educare coloro che non possono aiutare lo Stato socialista”. Da nessuna parte vengono menzionate terapie di riabilitazione o cure.
 
In questo contesto, come sottolineano alcuni operatori Caritas anonimi, “il nostro aiuto è fondamentale. Non diamo solo cibo, vestiti e medicinali a queste persone, ma lottiamo ogni giorno con il governo affinché venga loro permesso di lasciare il Paese per essere curate all’estero”.
 
Il dato più drammatico proviene però dalle statistiche governative, che fissano al 3,4 % la presenza di disabili fra i cittadini: “I dati mondiali – concludono gli operatori - mostrano che ogni nazione al mondo ha fra i suoi cittadini almeno l’8 % di disabili. Le statistiche del governo sono vere: la discrepanza nasce dal fatto che in Corea del Nord, se sei disabile, muori”.
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