Dalit cristiani e musulmani celebrano il giorno di lutto contro la discriminazione
Mumbai (AsiaNews)- "I dalit cristiani indiani sono ancora discriminati per la loro fede. In un Paese laico come l'India è scandaloso che i fuori casta di religione diverse da indù e buddismo vengano privati dei loro diritti a causa della religione". E' quanto afferma ad AsiaNews, mons. Anthonisamy Neethinathan, responsabile per la Conferenza episcopale indiana (Cbci) della Commissione per le Scheduled Castes e Tribù, in occasione del "Black Day", giorno di lutto contro la discriminazione dei fuori casta cristiani e musulmani. L'evento si celebra oggi in tutto il Paese. Con esso i dalit chiedono al nuovo presidente Pranab Mukherjee, al Primo ministro Manmohan Singh e al presidente della United Progressive Alliance (Upa) Sonia Gandhi di abolire l'art. 3 della legge sulle Scheduled Castes (Sc) del 1950 che impedisce ai cristiani e musulmani di uscire dallo stato di fuori casta e accedere a pieni diritti.
Mons. Neethinathan sottolinea che tutti i Dalit che non rientrano nelle legge sono non godono dei privilegi concessi agli altri fuori casta. Molti di loro vivono ai margini della società, non lavorano e devono sottostare agli antichi obblighi previsti nell'assurdo sistema delle caste indù anche se tale sistema è abolito da oltre 60 anni.
La legge del 1950 riconosce ai membri della Scheduled Castes vari diritti previsti dall'art. 341 (1) della Costituzione indiana. Ma il 3° paragrafo della norma specifica che non può essere membro di questi gruppi "chi professa una religione diversa dall'induismo". Nel 1956 e nel 1990 sono stati introdotti emendamenti per estendere la categoria anche a buddisti e a Sikh. Mentre ne sono tuttora esclusi i cristiani e i musulmani. Grazie a questa legge, i Dalit indù hanno facilitazioni di tipo economico, educativo e sociale, con quote di posti di lavoro assegnati nella burocrazia.
I Dalit cristiani e islamici hanno da tempo tacciato di illegalità la norma, che viola principi costituzionali di uguaglianza (art. 14), il divieto di discriminazioni per la propria fede (art. 15) e la libertà di scegliere la propria religione (art. 25).
La Commissione nazionale per le minoranze linguistiche e religiose (conosciuta come Commissione Justice Ranganath Misra) ha ordinato di "abrogare la norma, per "scollegare lo status di Sc dalla religione e rendere tale sistema del tutto neutrale rispetto al credo, come è quello delle Scheduled Tribes".
Vari enti e i governi di 12 Stati indiani hanno chiesto di ammettere nelle norme che regolano le Sc altre religioni come cristiani e islamici, come ad esempio i Consigli parlamentari statali di Bihar, Uttar Pradesh e Andhra Pradesh.
Anche la Corte Suprema ha più volte sollecitato il governo federale ad affrontare e risolvere il problema, ma senza ottenere risposta. In questi anni le numerose marce di contestazione e i dharna (digiuni di protesta) organizzati in tutto il Paese non hanno smosso i leader politici laici. Nonostante le promesse elettorali su una rapida risoluzione del problema, essi sono ancora succubi della cultura indù e dei suoi retaggi e temono la reazione dei membri del Bharatiya Janata Party (Bjp), potente partito nazionalista indù.