Cristiani siriani nella guerra fra integristi e laicisti, sunniti e sciiti
Beirut (AsiaNews) - Al-Qabas, quotidiano kuwaitiano in lingua araba, ha pubblicato ieri un articolo in cui si afferma che decine di kuwaitiani hanno attraversato la frontiera turco-siriana per combattere il jihad a fianco del Free Syrian Army (Fsa), l'opposizione armata, contro il regime di Bashar el Assad.
Secondo fonti vicine a questi gruppi entrati in Siria, gli uffici del Fsa accolgono jihadisti e altri militanti provenienti da Arabia saudita, Algeria e Pakistan; forniscono loro documenti d'identità siriani, nel caso in cui fossero presi dall'esercito regolare, e domandano loro di lasciare i loro veri documenti d'identità alla frontiera turca.
Il Fsa dà loro le armi, dopo aver verificato che essi hanno seguito un addestramento militare nei loro Paesi di origine. Poi, li invia nelle diverse regioni della Siria, secondo i bisogni, a combattere contro le unità dell'esercito regolare. Il Fsa ha anche rimandato indietro nei loro Paesi un certo numero di jihadisti perchè questi avevano meno di 18 anni.
Da parte sua, la Giordania ha arrestato due militanti salafiti che cercavano di entrare in Siria, anch'essi per combattere accanto agli islamisti.
Intanto, la Direzione delle Fatwa [in Kuwait], presso il ministero dei Waqfs, ha emesso una fatwa (decisione giuridica islamica) che autorizza di anticipare la zakat (l'elemosina islamica obbliogatoria) prima del termine previsto per venire in iauto ai rifugiati e ai bisognosi della Siria.
Il mio commento
Vorrei far notare alcuni importanti particolari :
- 1. L'informazione proviene da un quotidiano indipendente del Kuwait, il cui direttore, Mohammad Jassem Al-Sager ha ricevuto il premio dell'International Press Freedom Award, per la sua lotta a favore dei diritti umani. Egli è anche stato membro dell'Assemblea nazionale del Kuwait e presidente del parlamento arabo. Egli è tutto tranne che un alleato del regime siriano.
- 2. Nel testo arabo, il jihâd significa in modo esclusivo la lotta armata contro il regime siriano. Più volte ritorna il termine qitâl, che significa «guerra», «lotta fino alla morte» (il verbo qatala significa «uccidere»).
- 3. I combattenti sono addestrati - nei loro Paesi o altrove - prima di essere ingaggiati nel jihâd. Fra di loro vi sono anche dei minori, il Fsa non li accetta, mostrando un certo senso di responsabilità.
- 4. Non mancano le armi leggere. Esse sono immagazzinate in Turchia, vicino alla frontiera siriana.
- 5. La Turchia contribuisce alla lotta contro il regime siriano non con combattenti, ma permettendone il passaggio e l'organizzazione.
- 6. Tutti questi costituiscono un'alleanza di militanti islamisti sunniti. Il regime siriano è retto da alawiti (una ramificazione dello sciismo): lo scontro è dunque divenuto fra sciiti e sunniti. In più, essendo quello siriano un regime laico, l'opposizione raccoglie gli anti-laici, che sono i sunniti wahabiti e salafiti.
- 7. Questo spiega la diffidenza dei cristiani verso l'opposizione al regime. L'opposizione, che all'inizio era contro la dittatura, la tortura, l'ingiustizia e a favore dei diritti umani, poco a poco ha virato verso la tendenza radicale islamista (Fratelli musulmani e salafiti) per divenire alla fine una lotta fra due tendenze musulmane: sunniti e sciiti. Fra due mali - la dittatura laica baathista e la dittatura religiosa wahhabita) i cristiani preferiscono la prima, che essi conoscono già e con la quale cercano di convivere da tempo.
- 8. La sola vera soluzione sarebbe la rinuncia ad ogni dittatura( laica o religiosa) e l'edificazione di uno Stato liberale e democratico. Purtroppo, nel mondo arabo, questo sogno si è realizzato in modo modesto solo in Libano, forse per la presenza sostanziosa di cristiani, più preparati a tale evoluzione.
- 9. Allo stato attuale, non sembra che la Siria sia capace di realizzare tale progetto. D'altra parte, l'occidente, che avrebbe potuto giocare un ruolo positivo, nei conflitti precedenti (Afghanistan, Iraq, Libia) non ha dato l'esempio di imparzialità e democrazia, ma di seguire piuttosto interessi nazionali sotto la copertura della democrazia.