02/08/2011, 00.00
NEPAL
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Cristiani nepalesi in aumento e uniti, contro la minaccia del fondamentalismo indù

Una parte della classe dirigente intende reintrodurre l’induismo quale religione di Stato. Al vaglio anche norme contro la conversione, che potrebbero determinare un ritorno a battesimi clandestini. AsiaNews ne ha parlato con il superiore dei gesuiti, che sottolinea: nelle difficoltà siamo “veri discepoli di Cristo”.
Kathmandu (AsiaNews) – Negli ultimi anni in Nepal il fondamentalismo indù “è cresciuto in modo rapido” e una parte della classe politica, che fa riferimento “alla vecchia guardia”, vuole trasformare l’induismo in religione di Stato “come avveniva prima del 1990”. È quanto afferma ad AsiaNews p. Lawrence Maniyar, superiore regionale dei Gesuiti, secondo cui le minacce alla libertà religiosa hanno portato a “una maggiore unità fra i leader cristiani”.

Il sacerdote conferma che vi sono casi di conversione e la comunità è in continua crescita, grazie a battesimi fra gli adulti celebrati “nel corso di cerimonie pubbliche”. Tuttavia, se passeranno le restrizioni in materia di religione – avverte il gesuita – si tornerà “ai battesimi clandestini”. Nonostante pericoli e minacce, p. Lawrence ritiene la situazione attuale una “benedizione”, perché permette di essere “veri discepoli di Cristo” e in altri Paesi “la realtà è di gran lunga peggiore”.
Ecco, di seguito, l’intervista di p. Lawrence ad AsiaNews:

Dopo la caduta della monarchia, qual è la situazione dei cattolici?
La Chiesa cattolica, come le altre denominazioni cristiane, deve affrontare maggiori ostacoli rispetto al passato. Negli ultimi quattro anni il fondamentalismo indù è cresciuto in modo rapido e c’è grande impegno nel trasformare l’induismo in religione di Stato, come avveniva prima del 1990.
Ora ci battiamo con forza a tutti i livelli perché questo non succeda. La classe politica quattro anni fa ha votato affinché il Nepal fosse riconosciuto quale Stato laico. Ma la mentalità non è cambiata e la vecchia guardia cerca di reintrodurre la norma in modo sottile. Tuttavia, questo ha portato a una maggiore unità fra i leader cristiani.

Vi sono casi di conversione al cristianesimo?
Quando sono arrivato per la prima volta, nel gennaio 1976, vi erano solo tre laici che partecipavano alla messa domenicale, due statunitensi e un indiano. Oggi, dopo 60 anni di presenza della Chiesa, vi sono circa 8mila cattolici. Questo sta indicare che vi sono conversioni, in piccola parte verso il cattolicesimo e in più ampia misura verso le chiese protestanti. Anche questo è uno dei motivi che ha spinto l’esecutivo alla legge anticonversione. Negli ultimi quattro anni, i battesimi fra gli adulti si sono tenuti in cerimonie pubbliche, ma non so se questa abitudine continuerà a lungo. Se passerà la legge in Parlamento, dovremo tornare ai battesimi clandestini.

Quale ruolo occupa la comunità dei gesuiti all’interno della società nepalese?
La comunità cattolica, attraverso l’opera missionaria dei gesuiti, ha fatto il suo ingresso in Nepal nel maggio del 1951 in seguito a un invito del governo allora in carica. A livello giuridico, siamo presenti per educare i bambini nepalesi. Dal momento che la vecchia Costituzione permetteva la “pratica della fede di appartenenza”, non avevamo problemi nel prenderci cura dei bisogni materiali e spirituali della comunità cattolica. Il nostro lavoro si concentra sull’educazione dei giovani e l’assistenza a poveri e bisognosi in Nepal. La Chiesa cattolica annovera 32 istituti educativi e più di 60 centri attivi nel sociale.

Il Nepal è un Paese in cui è rispettata la libertà religiosa?
Contrariamente a quanto molti possono pensare, a mio avviso gli induisti non sono mai stati tolleranti verso le altre religioni. Quando l’induismo si sente minacciato, emerge la sua vera natura: il governo vuole introdurre una legge per mettere al bando le conversioni, solo perché negli ultimi 20 anni si sono avuti molti casi di persone che hanno abbracciato il cristianesimo. Molti in seno all’esecutivo nepalese credono che “nessuno abbia diritto di cambiare la propria religione”. I cristiani affermano in modo netto e aperto: non siamo cristiani perché lo erano i nostri genitori; non siamo indù perché lo Stato ci impone di esserlo; siamo cristiani perché abbiamo deciso di essere cristiani.

Quale lavoro svolgono i gesuiti nel Paese, soprattutto nel campo dell’educazione…
Le nostre scuole e i nostri licei sono i più ricercati dopo gli istituti di eccellenza del Paese. Oltre all’apostolato nel campo dell’istruzione, abbiamo quattro parrocchie, tre centri sociali (per orfani, tossicodipendenti, e una casa per non vedenti), una scuola per disabili mentali e otto cliniche mobili. Tutte queste attività sono gestite grazie al lavoro di sole 25 persone, fra fratelli e padri. Suore e laici sono di grande aiuto per la nostra opera di apostolato.

Come giudica l’opera missionaria dei gesuiti in Nepal?
A tutt’oggi ritengo che la situazione sia una vera benedizione, perché abbiamo la possibilità di essere reali testimoni del Vangelo; i non cristiani possono vedere il modo in cui viviamo e lavoriamo, e realizzare che siamo veri discepoli di Cristo. Ma nonostante le restrizioni sono felice della situazione del nostro Paese: vi sono molte nazioni al mondo in cui la realtà è di gran lunga peggiore. Rendiamo grazie a Dio e preghiamo che la situazione non peggiori.
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