Convertirsi a Cristo in Bangladesh: matrimoni, insoddisfazione sociale e ricerca di Dio
Dhaka (AsiaNews) - Matrimonio, insoddisfazione sociale e ricerca di Dio. La conversione religiosa in Bangladesh si articola secondo questi tre nodi fondamentali, in un clima di generale tolleranza. Nonostante la stragrande maggioranza della popolazione sia musulmana (89,5%) e l'islam sia considerato religione di Stato, la Costituzione non riconosce la shari'a e garantisce piena libertà di culto. Tuttavia, pur essendo uno dei Paesi musulmani più aperti, il predominio culturale e sociale della religione islamica è tale da rendere il Bangladesh una società ricca di contraddizioni, dove nelle conversioni interessi materiali di vario genere si confondono con una genuina spiritualità.
Il passaggio da una religione all'altra avviene in ogni direzione, anche se la tendenza principale è quella dall'islam al cristianesimo e viceversa. Quando la ragione è un matrimonio, non è raro osservare casi di ragazze musulmane che sposano cristiani, buddisti o indù senza però convertirsi. Di per sé, l'islam si oppone a che una donna si unisca in matrimonio con giovani di altre religioni, ma la legislazione prevede le unioni miste. In questi casi, i problemi nascono nelle situazioni di conflitto, dato che in campo matrimoniale si applicano i diritti delle varie religioni. In genere, prevale la norma islamica.
La conversione nasce anche da una forte insoddisfazione verso il gruppo di appartenenza, che sfocia in tensioni di varia entità. Sentirsi tagliato fuori dalla propria comunità religiosa, può condurre qualcuno a cercare in un'altra un'identità, un appoggio, talvolta anche solo per fare uno sgarbo a chi - in modo vero o presunto - l'aveva maltrattato.
A volte vi è invece un interesse che nasce da "qualcosa" che si trova nell'altra religione, e può avere varie forme: nei passaggi dal cristianesimo (o buddismo, o induismo) all'islam è spesso la ricerca di maggiori riconoscimenti sociali. Avere un nome arabo, in molti casi può rendere le cose più facili, e se non si è molto ferventi nella propria fede si sceglie di convertirsi. È noto per esempio che gli alti ufficiali dell'esercito debbano essere musulmani. Chi passa al cristianesimo invece, può avere la speranza di ricevere aiuti da ong e associazioni caritatevoli.
Nel caso delle popolazioni tribali (Adivasi), il discorso della conversione è diverso. In genere, è molto raro che un membro di queste comunità passi all'islam. Vi è invece una grande attenzione al mondo cristiano - protestante e cattolico - e a quello buddista. I tribali sono ormai una minoranza etnica che sfiora appena il 2% (contro il 98% della maggioranza bengalese) e sente sbriciolarsi la propria identità culturale e tradizionale. Entrare nell'area islamica non porterebbe loro grandi vantaggi, quindi cercano un appoggio in quelle comunità che, seppur relativa, hanno una loro forza e specificità. Inoltre, non è raro che si interessino al cristianesimo per ricevere aiuti per far studiare i figli, o curare i propri malati. Altre volte, sono proprio i figli a invitare i genitori ad avvicinarsi alla preghiera, dopo aver studiato in uno dei tanti ostelli cristiani.
I tribali si convertono sempre in gruppo e in genere sono intere famiglie. Per loro, il cammino di catecumenato è molto lungo e prudente, non ha regole fisse e si basa sulle indicazioni generali della Chiesa e l'esperienza dei singoli missionari. In alcuni casi, il cammino dura anche 10 anni. Un sacerdote cattolico spiega ad AsiaNews: "Ci deve essere una vera e propria trasformazione della vita. Quando qualcuno esprime il suo desiderio di diventare cristiano, chiedo che venga per un anno intero alla preghiera, senza prendere né io né lui alcun impegno ufficiale. Se frequentano, se imparano a pregare, allora possiamo iniziare il cammino formale del catecumenato. Quando la formazione avviene senza fretta, è molto raro che si torni indietro. Ed è bellissimo ascoltare quali motivazioni si danno l'un l'altro sul perché è bello essere cristiani".
In passato, in particolare con le Chiese evangeliche, conversioni "frettolose" hanno causato problemi peggiori di quelli che spingevano i tribali alla conversione, creando individui soli e slegati dalla società. I problemi e le pressioni più forti, infatti, vengono non tanto dai bengalesi - che in genere li ignorano - ma dalla loro stessa comunità. Quando una famiglia o un gruppo decide di diventare cristiano, il villaggio lo vive come un tradimento della loro stessa cultura e vessa i convertiti con vere e proprie discriminazioni: li estromettono dagli incontri del governo del villaggio; vietano loro di prendere l'acqua dalla fonte comune; non li aiutano se in difficoltà.
Da un punto di vista legale, la procedura di conversione è molto semplice: la legge prevede infatti che il convertito presenti a un notaio un documento scritto firmato, nel quale dichiara di cambiare religione per motivi personali; di non aver subito alcuna pressione; di essere libero. Per qualunque cristiano, buddista o indù che voglia diventare musulmano, il procedimento è quasi una formalità. Al contrario, per un islamico non è raro incontrare pressioni da parte del notaio, che a volte arriva a rifiutarsi (in modo illegale) di registrare l'atto.
In tutto questo, vi è la posizione della Chiesa e della comunità cattolica, fatta di grande prudenza e anche, talvolta, di severità. Oltre il comprensibile malcontento quando un giovane o una giovane decide di convertirsi all'islam, chi sceglie di sposare un musulmano senza lasciare il cristianesimo sperimenta un clima di grande durezza. La Chiesa prevede perfino la possibilità di ricevere una dispensa dalla pratica del culto a determinate condizioni (che devono essere accettate dal marito), ma la maggioranza del clero locale rifiuta di concederla.
La Chiesa è infine cauta ad accettare conversioni dall'islam per due rischi principali: la pressione sociale vissuta da queste persone, che affrontano ostacoli di ogni tipo, non ultime violenze fisiche; la creazione di una sorta di limbo, in cui si ritrovano i convertiti per la fatica a inserirsi nella nuova comunità (che li guarda con sospetto) e il rifiuto di quella d'origine. Il risultato, soprattutto quando si tratta di conversioni "frettolose", è quello di avere degli sbandati più che dei rinati in Cristo.
Pur non esistendo dati ufficiali, si stima che ogni anno migliaia di persone in Bangladesh si convertano al cattolicesimo.