Ancora sangue in Tibet: la polizia uccide 6 manifestanti
I fatti sono avvenuti a Draggo, nella provincia settentrionale del Sichuan: migliaia di persone hanno marciato per chiedere libertà religiosa e il ritorno del Dalai Lama fino agli uffici governativi, dove i soldati hanno sparato a vista.
Lhasa (AsiaNews/Agenzie) - La polizia cinese ha aperto il fuoco contro una manifestazione pacifica che chiedeva il ritorno del Dalai Lama in Tibet: almeno un manifestante è morto colpito alla testa, mentre altri 30 sono feriti in maniera grave. La Xinhua, agenzia di stampa del regime cinese, conferma il conteggio delle vittime ma punta il dito contro i “separatisti” e la “cricca del Dalai Lama che incita la popolazione alla violenza”. Secondo altre fonti, le vittime tibetane sono almeno sei.
I fatti sono avvenuti nella conte di Draggo a maggioranza tibetana, che si trova nella provincia del Sichuan. Secondo diversi testimoni oculari, la manifestazione è stata indetta dopo l’arresto di alcuni tibetani che distribuivano volantini a favore del leader spirituale in esilio. Il fermo da parte della polizia ha convinto gli abitanti a marciare verso gli uffici governativi per chiederne il rilascio: gli agenti hanno aperto il fuoco appena si sono avvicinati.
Tuttavia i manifestanti hanno resistito alla violenza, e secondo alcuni testimoni oculari “sono riusciti a distruggere bandiere e negozi di proprietà di cinesi di etnia han”. I tibetani accusano Pechino di portare avanti una politica di invasione: sin dalla presa della regione a opera dell’Esercito di liberazione popolare, il governo centrale ha inviato nelle province tibetane milioni di han (etnia dominante in Cina) per ottenere il controllo dell’economia locale e dell’istruzione.
Secondo i monaci della lamaseria di Draggo, una delle più grandi di tutta l’area, “migliaia di persone si sono radunate lo scorso 23 gennaio. Protestavano anche contro la corruzione del governo locale e contro la mancanza di libertà religiosa”. Negli ultimi mesi, 16 persone (per la maggior parte monaci buddisti) si sono dati fuoco in pubblico per protestare contro queste violazioni ai diritti umani. Il Dalai Lama ha più volte chiesto ai suoi seguaci di non farlo, ma Pechino continua a accusarlo di “sobillare” il Tibet.
I fatti sono avvenuti nella conte di Draggo a maggioranza tibetana, che si trova nella provincia del Sichuan. Secondo diversi testimoni oculari, la manifestazione è stata indetta dopo l’arresto di alcuni tibetani che distribuivano volantini a favore del leader spirituale in esilio. Il fermo da parte della polizia ha convinto gli abitanti a marciare verso gli uffici governativi per chiederne il rilascio: gli agenti hanno aperto il fuoco appena si sono avvicinati.
Tuttavia i manifestanti hanno resistito alla violenza, e secondo alcuni testimoni oculari “sono riusciti a distruggere bandiere e negozi di proprietà di cinesi di etnia han”. I tibetani accusano Pechino di portare avanti una politica di invasione: sin dalla presa della regione a opera dell’Esercito di liberazione popolare, il governo centrale ha inviato nelle province tibetane milioni di han (etnia dominante in Cina) per ottenere il controllo dell’economia locale e dell’istruzione.
Secondo i monaci della lamaseria di Draggo, una delle più grandi di tutta l’area, “migliaia di persone si sono radunate lo scorso 23 gennaio. Protestavano anche contro la corruzione del governo locale e contro la mancanza di libertà religiosa”. Negli ultimi mesi, 16 persone (per la maggior parte monaci buddisti) si sono dati fuoco in pubblico per protestare contro queste violazioni ai diritti umani. Il Dalai Lama ha più volte chiesto ai suoi seguaci di non farlo, ma Pechino continua a accusarlo di “sobillare” il Tibet.
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