Al via oggi i colloqui diretti tra israeliani e palestinesi: una piccola speranza di pace
Dopo quasi due anni, Netanyahu e Abbas si incontreranno faccia a faccia. Obama parla di opportunità da non lasciar sfuggire e di pace possibile “in un anno”. Ma le posizioni sono molto lontane. La questione Hamas e Iran.
Beirut (AsiaNews) - “Poca speranza di pace”: il titolo col quale il saudita Arab News parla dei colloqui diretti tra israeliani e palestinesi che prendono il via oggi pomeriggio a Washington riflette bene l’atteggiamento col quale si guarda all’iniziativa di Obama per porre fine a 60 anni di conflitto mediorientale.
Il presidente americano segna il fatto di essere riuscito a far riprendere i colloqui diretti, fermi ormai da 20 mesi, dall’attacco israeliano a Gaza. Tutti i protagonisti - oltre a Obama, ci sono il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il re di Giordania Abdallah II e il presidente egiziano Hosni Mubarak – hanno espresso speranza e fiducia. Obama ha sostenuto che “possiamo arrivare alla pace in Medio Oriente in un anno. Israeliani e palestinesi non devono lasciarsi sfuggire questa opportunità”, Netanyahu ha definito Abbas “il mio partner per la pace”, il presidente palestinese ha affermato il suo “pieno impegno”.
Ma le distanze restano notevoli, forse incolmabili. Per i palestinesi c’è innanzi tutto la questione delle colonie israeliane che continuano a crescere, ma anche i confini del loro futuro Stato e la sua capitale, il diritto al ritorno dei profughi e altro ancora. Tutte, o quasi, questioni che vedono Netanyahu su posizioni apparentemente inconciliabili.
Dal cui entourage è arrivta una immediata risposta negativa all’idea avanzata ieri dal ministro della difesa e leader laburista, Ehud Barak, che in un’intervista a Haaretz aveva parlato di “Gerusalemme Est ai palestinesi” e di uno statuto speciale per i Luoghi santi ebrei, cristiani e musulmani, in cambio di uno Stato palestinese smilitarizzato. “Con israeliani e palestinesi lontani sulle questioni chiave – scrive oggi il libanese an Nahar – le attese dai colloqui di Washington sono basse, mentre le scommesse sono alte”.
In Israele, il Jerusalem Post guarda al “convitato di pietra”, a Hamas. Assente dai colloqui, con due giorni di attentati sanguinosi ha messo sul piatto la sua presenza. “Con il terrore che avanza, la pace sembra come una missione impossibile”, titola il quotidiano che, in un’analisi della situazione, sostiene che “le uccisioni dimostrano ancora che finché l’Iran non sarà neutralizzato nessun obiettivo potrà essere realizzato”. La violenza “evidenzia una delle carenze di questo, e di tutto gli altri, processi diplomatici. Che fare con Hamas. Come trattare con lui? Come neutralizzarlo?” E “come neutralizzare uno dei suoi maggiori sostenitori e il capo di alter organizzazioni terroriste – l’Iran?”. Perché fin dall’annuncio della ripresa dei colloqui “Era davvero evidente” che “Iran, Hamas, Hezbollah non sarebbero stati calmi ai margini, applaudendo educatamente, ma avrebbero cercato di affondare i colloqui, facendolo nel solo modo che conoscono, attraverso il terrorismo”.
Proprio le “ambizioni iraniane” a un ruolo dominante in Medio Oriente, invece, secondo il Washington Post, possono “servire come vincolo comune per mantenere in vita un fragile processo di pace”. Il programma nucleare di Teheran e la sua crescente influenza sono infatti sentiti come una minaccia dai paesi sunniti e “diviene urgente per Israele e i suoi vicini arabi cercare una pace e a far fronte insieme a una minaccia comune alla loro sicurezza e alla loro stabilità politica”.
Originale, in questo quadro, quanto sostiene Haaretz, per il quale va abbandonata la strada della ricerca di un accordo definitivo e globale, a favore di “un approccio politico realistico”, che può essere “forse uno Stato palestinese con confini temporanei, forse una evacuazione parziale degli insediamenti, forse un’altra soluzione creativa. Ma una cosa è chiara. Solo se Obama, Netanyahu e Abbas realizzano un qualche tipo di accordo ad interim la pace diviene più vicino e una valanga può essere evitata”. (PD)
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