Zenari: al Conclave la ‘cara e martoriata’ Siria di papa Francesco
Il nunzio apostolico a Damasco - che il prossimo gennaio compie 80 anni - fra i porporati chiamati a scegliere il successore di Bergoglio. A dispetto della guerra e delle violenze non ha mai lasciato la missione diplomatica e la comunità cristiana. La “bomba della povertà”, il dramma delle sanzioni e la questione degli scomparsi che tocca anche la Chiesa siriana.
Città del Vaticano (AsiaNews) - “Ho cercato di vivere con i cristiani, ho sperimentato tanta sofferenza, ho cercato di partecipare a questa sofferenza e condividerla, un dolore esteso a tutta la Siria” e al suo popolo “cui mi sento molto legato. Una catastrofe, una tragedia enorme, quello che i miei occhi hanno visto e il cuore ha provato, un qualcosa di terribile e profondo, impossibile da esternare”. Così il nunzio apostolico a Damasco, il card. Mario Zenari, diplomatico vaticano di lungo corso, raccontava ad AsiaNews nel luglio 2022 gli anni di missione in Siria, nazione martoriata ma che non ha mai abbandonato nemmeno nella fase più buia del conflitto. “Al contempo ho visto e sperimentato tanta solidarietà, ho vissuto la sofferenza di tanti bambini che sono le prime e le principali vittime di questo conflitto. Resta la speranza, che non muore mai, che un giorno o l’altro - proseguiva - si veda la fine di questo tunnel”.
In un Paese devastato dalle violenze - rivolta interna, guerra civile e conflitto regionale, e globale, per procura - e sconvolto da quella che lo stesso porporato ha chiamato “bomba della povertà, che fa più vittime della guerra”, milioni di persone soffrono la fame. E in una situazione di enorme bisogno - quasi il 90% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà - i cristiani hanno sperimentato “quella che Giovanni Paolo II chiamava la ‘fantasia della carità’ con varie iniziative e progetti: dal cibo all’acqua, agli aiuti in campo medico”. Un esempio su tutti “Ospedali aperti” con due strutture a Damasco e una ad Aleppo che, in meno di cinque anni, hanno assistito gratuitamente più di 80mila malati poveri di qualsiasi etnia e religione. “Quando la carità - affermava - è aperta a tutti si trova molta riconoscenza nei non cristiani, perché diventa punto di incontro”.
Il card. Mario Zenari è nato il 5 gennaio 1946 a in provincia di Verona, nel nord Italia, ed è entrato nel seminario vescovile scaligero dove ha frequentato le scuole medie e superiori. Completati gli studi filosofici e teologici, è stato ordinato sacerdote il 5 luglio 1970; il trasferimento a Roma risale al 1976, per la formazione diplomatica alla Pontificia accademia ecclesiastica e la laurea in diritto canonico alla Gregoriana. Nel 1980 entra nel servizio diplomatico della Santa Sede, svolgendo incarichi fra gli altri in Germania (dove assiste alla caduta del muro di Berlino), presso l’agenzia nucleare (Aiea) e l’Ocse. Il 12 luglio 1999 Giovanni Paolo II lo nomina nunzio apostolico in Costa d’Avorio e Niger, poi nel 2004 in Sri Lanka; il 30 dicembre 2008 Benedetto XVI ne dispone il trasferimento in Siria. Papa Francesco lo eleva al rango cardinalizio nel Concistoro del 19 novembre 2016 e lo nomina membro del Dicastero per le Chiese Orientali.
In questi anni il card. Zenari è stato uno strenuo sostenitore della pace e dell’invio di aiuti umanitari, alzando la propria voce per denunciare le gravissime sofferenze di una popolazione ridotta allo stremo dalla fame e per l’ingresso di aiuti umanitari. Il porporato ha richiamato l’attenzione sulla difficile situazione dei siriani, in particolare dei bambini, che ha descritto come quanti “pagano il prezzo più alto del conflitto”. I suoi ripetuti appelli, uniti a quelli di papa Francesco che ha più volte ricordato la “cara e martoriata Siria”, sono stati un segno distintivo del suo lavoro e della missione. In particolare la “bomba” della povertà che “uccide la speranza”.
Il card. Zenari ha anche criticato le sanzioni internazionali sin dai tempi del regime di Bashar al-Assad, oggi in esilio a Mosca dopo l’avanzata dei ribelli di Hts (Hayat Tahrir al-Sham) che hanno conquistato il potere a Damasco e oggi controllano gran parte del Paese. Per quando concerne la crisi politica e istituzionale, il porporato ha sempre sostenuto una soluzione “intra-siriana”, pur riconoscendo le sfide poste da influenze e attori esterni. Fra i nodi irrisolti, e più volte evocati dal nunzio, vi è la questione degli scomparsi che tocca anche la comunità cristiana e la Chiesa siriana. I casi più illustri, e la cui sorte è tuttora avvolta nel mistero, riguardano p. Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano e fondatore della comunità di Deir Mar Musa al-Habashio e i due vescovi di Aleppo: il siro-ortodosso Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos Yaziji. Le ultime tracce di p. Dall'Oglio conducevano a Raqqa, all’epoca roccaforte del “Califfato” in Siria: figura carismatica del dialogo islamo-cristiano, il religioso è scomparso nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 2013 dopo essere penetrato nel quartier generale dell’Isis per un confronto e per perorare la liberazione di diversi ostaggi - anche cristiani - in mano jihadista. È di alcuni mesi precedenti il rapimento, avvenuto il 22 aprile del 2013, dei due vescovi che, secondo alcune testimonianze, stavano trattando la liberazione di p. Michel Kayyal e p. Maher Mahfouz, sequestrati nel febbraio dello stesso anno. Giunti a un posto di blocco, l’auto è stata affiancata da uomini armati che hanno sparato uccidendo l’autista.
Parlando di p. Paolo Dall’Oglio, il cad. Zenari sottolineava come “oltre al ricordo, di lui resta un monastero [di Mar Musa] che ha fatto rivivere dalle rovine, restaurato con grande capacità e competenza. E poi questa comunità da lui fondata: anche se ridotta di numero, continua nel suo spirito volto al dialogo interreligioso ed è ancora oggi una meta sulla montagna che attrae pellegrini e fedeli”. “Manca la sua voce coraggiosa - spiegava il porporato - che probabilmente dava fastidio a qualcuno”. Il tema delle persone “scomparse” è stato più volte rilanciato dalla Chiesa siriana, mentre l’Assemblea generale Onu ha approvato la creazione di un “organismo indipendente” con l’obiettivo - incompiuto - di far luce sulle 100mila (e più) persone sparite. I prigionieri, gli scomparsi “vanno liberati o si devono dare notizie certe alle famiglie. Sono quasi 100mila e ognuna di loro - concludeva il porporato - ha il diritto di sapere cosa è successo al loro congiunto”.