Xinjiang: due giovani Uiguri muoiono sotto custodia in ‘circostanze sospette’
Erano tornati dall’Egitto volontariamente all’inizio dell’anno. Sono stati imprigionati all’arrivo. Il fratello poliziotto di uno dei due è stato licenziato perché aveva iniziato a fare domande. Continua la repressione dell’etnia a maggioranza islamica.
Pechino (AsiaNews/Rfa) – Sono morti in custodia due studenti uiguri ritornati dall’Egitto alla regione dello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. Nel corso dell’anno, le autorità cinesi hanno fatto più volte appello al gruppo etnico a maggioranza musulmana a fare ritorno nel Paese.
Una fonte anonima dello Xinjiang di Radio Free Asia (Rfa) riferisce che i due studenti Abdusalam Mamat e Yasinjan (in foto) avevano iniziato a studiare all’università islamica di Al Azhar al Cairo rispettivamente nel 2015 e 2016. Rispettando un ordine del governo locale che richiedeva agli Uiguri all’estero di rientrare per “registrarsi”, Mamat ha fatto ritorno volontariamente a Korla, città natale a gennaio, seguito da Yasinjan tre mesi dopo.
I due studenti sono stati imprigionati al loro arrivo in Cina, e sono morti in circostanze sospette in custodia. Non avevano problemi di salute precedenti.
Mamat era il figlio dell’imam della moschea Juma, la grande moschea della città. Yasinjan, invece, era il fratello di un ufficiale di polizia locale, che per sette-otto anni ha lavorato nella prigione locale. Il segretario del partito comunista del Villaggio Aq-Eriq, a Korla, riferisce a Rfa che 23 persone sono attualmente sotto custodia e conferma la morte dei due studenti “in prigione”. “Neanche suo fratello poliziotto [di Yasinjan] ha potuto salvargli la vita”, ha riferito il segretario, aggiungendo che l’ufficiale è stato “licenziato perché ha cominciato a fare domande sul imprigionamento di Yasinjian”.
Sono circa 20 gli uiguri studenti di cui da mesi non si hanno notizia. Più di 200, molti dei quali tornati dall’università Al Azhar, sono detenuti sin dal 4 luglio. Erano stati catturati in ristoranti, a casa, e in alcuni casi all’aeroporto mentre cercavano di raggiungere Paesi più sicuri. Lo scorso settembre, 29 Uiguri sono stati catturati e deportati in Cina dalla Malaysia.
In nome alla lotta contro il terrorismo, Pechino attua da decenni una politica di repressione verso la popolazione, insieme a un controllo serrato delle attività religiose. Ad esempio, impone il divieto ai musulmani uiguri di digiunare durante il mese del Ramadan e l’obbligo ad installare sui propri cellulari un’applicazione che consente di tenerli sotto controllo.
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