Willy Lam: l'occasione perduta del Parlamento cinese
Pechino (AsiaNews/Agenzie) - Un'occasione persa: il noto studioso Willy Lam definisce così l'annuale Assemblea nazionale del popolo svoltasi a Pechino a marzo. Un passo indietro rispetto alle aperture riformiste degli ultimi mesi, con gli interventi dominati dalla preoccupazione di salvaguardare la stabilità ed evitare ogni possibile disordine. E' mancato un effettivo confronto e affronto dei problemi reali della società e delle cause di malcontento e delle frequenti proteste sociali. L'articolo è apparso sulla rubrica China Brief del sito della Jamestown Foundation.
Mentre è noto che l’apparato cinese della pubblica-sicurezza si sia molto esteso dal 2008, l’Anno delle Olimpiadi, gli osservatori sono rimasti sorpresi per il budget del wei-wen per quest’anno, 624,4 miliardi di yuan [67,3 miliardi di euro). Con un aumento del 13,8%, rispetto al 2010. In proporzione, il budget per il Pla è salito a 601,1 miliardi di yuan, con un aumento del 12,7% nel 2010 (Reuters, 5 marzo, Ming Pao [Hong Kong] 6 marzo). Il premier Wen Jiabao, nel suo Rapporto sul Lavoro del Governo (nel prosieguo: Rapporto) pronunciato il 5 marzo, ha chiesto di dipartimenti del governo di “rinforzare e perfezionare il sistema di pubblica sicurezza” e di “migliorare la nostra capacità di gestire la crisi e sostenere i rischi [politici]”. Egli ha anche sottolineato l’imperativo di rinforzare il controllo su internet e di modernizzare la Polizia Armata del Popolo (Pap), che ha il compito di affrontare le proteste e i disordini. “Noi dobbiamo accrescere la nostra capacità di affrontare le situazioni d’emergenza, contrastare il terrorismo e mantenere la stabilità”, ha detto Wen nel discorso conclusivo ai 3mila deputati nella Sala Grande del Popolo (Xinhua News Agency, 5 marzo; China News Service, 5 marzo).
Il proverbiale “impugnando la spada” di Wen ha natura simile a una serie di indicazioni “wei-wen” date dal presidente Hu Jintao e da altri componenti del Comitato Permanente del Politburo (Pbsc) del Partito Comunista Cinese (Pcc), da quando una serie di “rivoluzioni colorate” hanno iniziato a travolgere Tunisia, Egitto e Libia a metà gennaio. Per esempio Zhou Yongkang, membro del Pbsc, responsabile di legge e ordine pubblico, durante una conferenza nazionale sulla “gestione sociale” ha indicato che le forze di sicurezza devono “porre in essere un sistema complessivo e praticabile per prevenire [i disordini] e realizzare il controllo sociale, così che contraddizioni e controversie siano risolte a uno stadio embrionale” (Xinhua News Agency, 20 febbraio; Quotidiano del Popolo, 21 febbraio). La chiamata di Zhou alle armi, il 20 febbraio, coincide con la prima dimostrazione della “Rivoluzione dei Gelsomini” che ha colpito la Cina. Quel giorno diverse centinaia di dimostranti, soprattutto giovani, rispondendo a messaggi anonimi su internet, si sono radunati in 13 luoghi indicati in varie città tra le quali Pechino, Shanghai e Guangzhou. In seguito analoghi appelli per dimostrazioni sono stati fatti sulla rete internet per le 2 domeniche successive. Comunque, a causa del massiccio spiegamento di forze di polizia, il numero dei dimostranti si è ridotto in modo notevole (New York Times, 20 febbraio; The Guardian, 27 febbraio; Ming Pao, 7 marzo).
Quello che la leadership di Hu Jintao ritiene opponendosi alla cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini e ai tentativi collegati di indebolire l’autorità del Pcc, come lotta di lungo termine, è comunque evidente da una serie di commenti pubblicati dal conservatore Beijing Daily e dal Quotidiano della Liberazione all’apertura dell’Anp. In un commento firmato, il Beijing Daily ha ammonito contro “chi, dentro e fuori la Cina, ha motivi propri per portare il caos [collegato con le rivoluzioni colorate] dentro la Cina” attraverso azioni come questi “assembramenti tenuti in modo illegale e tentativi di creare incidenti”. Allo stesso modo, il Quotidiano della Liberazione, di Shanghai, ha puntato il dito sugli elementi anti-cinesi che è probabile stiano “confondendo e avvelenando la menti della gente nel tentativo di spronare le ‘politiche di strada’ e di precipitare la Cina nel disordine” (Beijing Daily, 5 marzo; Quotidiano della Liberazione, 6 marzo; China News Service, 6 marzo).
Il corollario dell’apparente decisione del Pcc di ripristinare il pugno di ferro, con tattiche quasi-Maoiste di soppressione del dissenso, è che la liberalizzazione politica è stata bloccata con fermezza. Lo scorso anno il premier Wen Jiabao ha sorpreso gli osservatori innalzando in modo ripetuto la bandiera della riforma politica. Lo scorso settembre, in un memorabile discorso nella zona economica speciale di Shenzhen, Wen ha argomentato che “noi abbiamo bisogno di portare avanti non soltanto la riforma della struttura economica, ma dobbiamo portare avanti anche la riforma della struttura politica”. Il premier ha anche ripetuto il ben noto avvertimento del patriarca Deng Xiaoping contro i nemici della liberalizzazione: “Senza riforma, c’è soltanto la strada verso la rovina” (vedi “Il Tour Meridionale del premier Wen: Aperture ideologiche nel Pcc?”, China Brief, 10 settembre, 2010). Nel Rapporto di quest’anno Wen, mentre ha fatto una menzione apparsa solo pro forma della “riforma della struttura politica”, si è soprattutto trattenuto sul programma non controverso di “attuare una modalità decisionale scientifica, democratica”. Per contrasto Wen, nel suo Rapporto sul Lavoro del Governo del 2010, si era intrattenuto con eloquenza su “la sincera tutela dei diritti democratici del popolo, in specie i diritti elettorali, il diritto di sapere, il diritto di partecipazione [in politica], il diritto di espressione, e il diritto di supervisione [sul governo]” (Quotidiano del Popolo, 6 marzo; Apple Daily [Hong Kong], 6 marzo”.
L’amministrazione del Pcc, mentre rifiuta di condividere il potere con il popolo, appare pronta a fare significativi miglioramenti del livello dei benefici di tutela sociale. Del 12° Pq finora rivelato, si mette in evidenza la generosa maggior spesa pubblica in settori che vanno dalle case popolari all’assicurazione sociale medica. Per esempio, nei prossimi 5 anni saranno costruiti 36 milioni di appartamenti con fondi governativi [per la popolazione meno abbiente]. Il contributo annuale del governo centrale all’assicurazione medica per le aree urbane e rurali sarà portato da 120 yuan (dollari 18,38) per persona a 200 yuan (dollari 30,46) per persona. La spesa per l’istruzione raggiungerà il 4% del Prodotto interno lordo, da quest’anno in poi. Il salario minimo, che lo scorso anno è cresciuto del 20,8%, aumenterà almeno dell’80% fino al 2015. Più significativo è che il Gabinetto di Wen ha promesso che il reddito di cittadini e contadini con probabilità crescerà a un tasso annuale non inferiore al 7%, che è il tasso di crescita previsto durante l’intero periodo del Pq (Xinhua News Agency, 27 febbraio; Sina.com, 6 marzo; Ming Pao, 7 marzo).
Peraltro, è improbabile che questi contenuti benefici dati dal governo centrale possano diminuire il grosso divario tra ricchi e poveri, che costituisce una delle principali ragioni alla base del pubblico malcontento. Il Coefficiente Gini – che misura le disuguaglianze nel reddito – è intorno a 0,5, un livello che è considerato possibile causa di disordini sociali (Huanqiu.com, 17 febbraio; Xinhua News Agency, 25 febbraio). Secondo l’ultima edizione dell’autorevole Rapporto Hurun, i 70 parlamentari più ricchi della Cina vantano una ricchezza complessiva di 493,1 miliardi di yuan (75,1 miliardi di dollari). In confronto, i beni dei 70 membri più abbienti del Congresso Usa ammontano a non più di 4,8 miliardi di dollari (Bloomberg, 4 marzo; Chinareviewnews.com, 5 marzo).
E’ ancora più significativo che Wen e i suoi colleghi non abbiano ancora adottato iniziative istituzionali riguardo al diffuso malcontento della popolazione. Prendiamo lo hukou, o sistema di permesso di residenza, che è responsabile per la rigida segregazione tra residenti urbani e rurali sin dalla metà degli anni ’50. Nonostante circa 200 milioni di lavoratori migranti abbiano, nei passati vent’anni, fornito un inestimabile contributo a rendere la Cina “la fabbrica del mondo”, a loro è tuttora negato lo status di residenti permanenti nelle città. Appena prima dell’Anp del 2010, 15 quotidiani regionali hanno fatto un editoriale congiunto chiedendo a Pechino di eliminare subito l’incostituzionale sistema dell’hukou. Questo inusuale appello è stato ignorato dalle autorità (Wall Street Journal, 3 marzo 2010; The Economist, 6 maggio 2010). Wen, nel suo Rapporto a marzo, ha fatto generiche promesse che i lavoratori migranti riceveranno in modo graduali molte benefici sociali finora riservati ai residenti urbani. Tuttavia non sono state indicate scadenze per l’abolizione della discriminazione istituzionale contro gli agricoltori cinesi (China News Service, 5 marzo; New Beijing Post, 23 febbraio).
Allo stesso modo, l’amministrazione del Pcc si è scottata con riguardo alla perenne battaglia contro la corruzione, che è ritenuta la principale causa delle proteste sociali. Wen, nella sua discussione via internet con i cittadini, prima dell’Anp, ha ammesso che “l’inflazione insieme con la corruzione sono sufficienti a causare il pubblico malumore –e questo potrebbe creare gravi problemi sociali” (Quotidiano del Popolo, 28 febbraio; China News Service, 28 febbraio). “Rinforzare la realizzazione di un governo pulito e combattere la corruzione,” comunque, è elencata nel Rapporto come l’ultima delle 10 priorità di quest’anno. “Noi dobbiamo aiutare con impegno l’autodisciplina [dei funzionari] per un governo pulito”, ha detto Wen. Il premier ha sollecitato i funzionari ad “accettare il controllo con autoconsapevolezza” che questo comprende regolari rapporti alle agenzie anti-corruzione sui loro redditi, proprietà immobiliari, investimenti, come pure i cambiamenti di nazionalità dei loro parenti. E’ vero che i funzionari superiori hanno iniziato l’anno scorso a fare simili rapporti alla Commissione Disciplinare per la Commissione Centrale del Pcc. Tuttavia, nonostante le esortazioni a una maggiore trasparenza, i dati sulle finanze personali dei maggiori funzionari non sono ancora resi pubblici né sottoposti a revisioni indipendenti” (Xinhua News Agency, 2 marzo; China Youth Daily, 27 febbraio).
La svolta conservativa nelle politiche cinesi è anche pronta a colpire la natura della riforma economica nei prossimi 5 anni. E questo nonostante che la ristrutturazione economica come prevista, almeno in teoria, nelle linee del 12° Pq contenga un gran numero di obiettivi riformisti. In questo modo, l’obiettivo della crescita del Pil dal 2011 al 2015 è stato abbassato al 7% per puntare sulla “qualità” dell’espansione economica, invece che sulla quantità. Saranno fatti maggiori sforzi per rimpiazzare le esportazioni con il consumo domestico, come locomotiva trainante della crescita. Soprattutto, la Fabbrica del Mondo è pronta a mutarsi nel Perno Globale dell’Innovazione. Tuttavia la gran parte del progetto di Pechino di promuovere quanto ha valore e la catena tecnologica dipende dalle politiche e dagli esborsi del governo, non dagli sforzi del settore privato. Per esempio, i dipartimenti del governo e i conglomerati statali investiranno 1.500 miliardi di dollari in 7 aree industriali chiave: tecnologia verde, biotecnologia, energia alternativa, manifatture di alta tecnologia, informazione tecnologica, materiali avanzati e veicoli a carburante alternativo. Ci saranno anche maggiori integrazioni tra ricerca e sviluppo civile e militare (Xinhua News Agency [English], 5 marzo; Reuters, 1 febbraio; BBC News, 3 marzo). Proprio nell’arena socio-politica, le strategie industriali e tecnologiche di Pechino sembrano orientate a potenziare il potere dell’apparato partito-e-stato piuttosto che a incoraggiare la creatività e l’iniziativa dei singoli cittadini. Come in altri aspetti della vita nazionale, le attività economiche devono servire il superiore imperativo wei-wen.
Willy Lam
20/08/2021 11:18
31/05/2021 11:02